Il ministro della Salute Speranza ha scelto la linea della massima prudenza perché non possiamo permettere l’ingresso di contagiati dall’estero. È il motivo per cui ha vietato l’ingresso da una decina di paesi in cui la pandemia di coronavirus è sfuggita al controllo delle autorità sanitarie. Il piano di monitoraggio di chi arriva dai Paesi extra Schengen però non garantisce certezze assolute per un buco normativo che ne compromette l’efficacia. A chi oggi entra/rientra, per esempio, dagli Stati Uniti o dal Pakistan in Italia e sbarca all’aeroporto, viene misurata la temperatura e richiesta un’autodichiarazione in cui indica dove intende soggiornare nel corso del periodo di quarantena precauzionale e afferma la propria disponibilità a sottoporsi a sorveglianza sanitaria.
Dopodiché, una volta uscito dall’aeroporto, chi s’è visto, s’è visto.
Può salire sull’autobus e poi sul treno per raggiungere casa e tornare alla propria vita. Se alle autorità sanitarie non arriva la comunicazione dell’arrivo, della quarantena e del luogo in cui la si trascorre come possono monitorare il contagio sul territorio? Come possono fare il tampone previsto all’arrivo dei soggetti e, in caso di negatività, il secondo tampone a distanza di 7 giorni?
Colmare il buco normativo mettendo in grado le Prefetture di poter disporre di quei dati è quanto mai urgente per consentire all’Ausl e ai Comuni di poter avere il polso della situazione. Il tracciamento è la strategia che già stanno utilizzando per tenere sotto controllo i focolai, quello nel settore della logistica, quello della lavorazione delle carni e quello nel centro estivo di Rolo, per esempio.
Invece, per quel che riguarda gli ingressi dall’estero, Ausl e Comuni non sanno né chi sono né dove sono coloro che entrano dall’estero, da paesi come gli Stati Uniti, per esempio, in cui si registrano 77mila contagi al giorno. E non basta poter contare sul fatto che i soggetti possano essere fermati dalle forze dell’ordine che continuano a presidiare il territorio con controlli straordinari.
Basta poco per innescare la bomba: il livello di attenzione delle persone è in calo progressivo e si guarda con diffidenza a tamponi e test che potrebbero aprire le porte di un’eventuale quarantena.
Oggi la lotta al coronavirus non si fa più, per fortuna, negli ospedali in cui è garantito un livello medio alto di sicurezza. La battaglia si fa e si farà sul territorio per individuare e gestire i focolai in modo efficace ed efficiente.
Sara Gelli