“Non ci può essere sviluppo senza un processo conoscitivo e di individuazione del progresso. La crisi epocale che stiamo vivendo rappresenta un’opportunità, una svolta. Ma come si può pensare di rilanciare questo Paese senza fare i conti con la cultura? Senza di essa non ci sono conoscenza, spirito critico, pensiero laterale. L’Italia è vecchia, un paese per vecchi e contro l’innovazione ma se la forma mentis non cambierà siamo destinati a ricadere, ancora una volta, nei soliti schemi. Superati e anacronistici. Il principio Uno vale Uno mi è sempre parso un’idiozia, ma oggi è a dir poco pericoloso”. A parlare è la carpigiana Rita Zappador di International Music and Arts, agenzia e management a forte vocazione internazionalista di creazione e produzione di eventi con sede in città, nonché componente di Laboratorio Carpi, lista che ha sostenuto Alberto Bellelli nella sua corsa alla rielezione.
“La cultura è il telaio, la struttura che dà forma al nostro pensiero e che, di conseguenza, ci spinge all’azione”, prosegue Rita. Non è un vezzo, nè una mera forma di divertimento, bensì un elemento fondante del nostro essere uomini e donne ed è proprio da tale consapevolezza che si sarebbe dovuti partire nella “costruzione del tavolo di lavoro Progetto Carpi. Nel gruppo di lavoro non vi è alcun esponente della cultura, dell’arte, della musica e dello spettacolo. I quattro cardini individuati sono di carattere economico-industriale, economico-finanziario, sociologico e comunicativo. Il sillogismo è dunque semplice: la cultura non è considerata uno dei pilastri del Progetto Carpi ed è inaccettabile. La cultura non ha una funzione ancillare, al contrario rappresenta una delle prime piattaforme da cui ripartire”.
Quali sono le critiche che muove al gruppo di lavoro istituito dalla Giunta?
“Per qualcuno la costituzione di questa squadra di esperti è stata una sorta di ammissione di inadeguatezza da parte dei nostri amministratori, io al contrario la considero un profondo atto di umiltà, soprattutto in un classe politica, quella del Partito Democratico, che a Carpi come in Italia ha sempre peccato di un’eccessiva chiusura e autoreferenzialità. Aprirsi a chi ha maggiori competenze può aiutare a crescere, a guardare la realtà con occhi differenti. Sono però rimasta profondamente delusa nell’apprendere come la cultura sia stata del tutto estromessa da questo tavolo. A mancare all’appello non è una semplice appendice. Un dettaglio. La cultura non sono produce denaro ma incide su tutti gli altri settori del fare e dello scibile umano. L’uomo, come sosteneva Spinoza, è mente e corpo insieme. L’unione di res cogitans (pensiero) e res extensa (materia). La cultura induce al cambiamento, riconfigura i paradigmi con cui si affrontano i problemi, le sfide. Ribalta i punti di riferimento che regolano la nostra percezione del mondo. E oggi noi abbiamo davanti la sfida più grande, quella di ripensarci in toto dopo la pandemia. Chi continua a sperare che tutto torni come prima non ha capito nulla. Tutto è già cambiato. Noi stessi, la realtà che ci circonda. Ma per far sì che questa crisi possa davvero essere un’opportunità di trasformazione occorre avere gli strumenti cognitivi per comprenderlo prima e per agire poi. La cultura ci addestra a trovare soluzioni inedite a problemi che ci paiono insormontabili, mutando i punti di vista sui fenomeni, stabilendo connessioni tra eventi e idee, articolando livelli molteplici di interpretazione. Compito della cultura dunque, in una fase di transizione senza precedenti come quella che stiamo attraversando, non può che essere immaginare, articolare e costruire l’epoca nuova”.
Cosa vorrebbe dunque che facessero i nostri amministratori per raddrizzare il tiro?
“Per fare in modo che questo gruppo di lavoro non si riduca a un mero annuncio a effetto vorrei che il quinto pilastro (che dovrebbe essere il primo, poiché guida e mentore degli altri) sia introdotto nel Progetto Carpi dalla porta principale, a viso aperto e con onestà intellettuale. Un esperto da ricercare con cura, dalla visione ampia e laterale. Non usciamo dalla crisi uguali a prima. Ma in questo momento di totale sospensione, il futuro è nelle nostre mani e credo che la politica debba assumersene la responsabilità e agire di conseguenza. Una collettività consapevole, informata e acculturata attraverso le molteplici forme d’arte esistenti, cresce. Si evolve. La cultura muta i crismi attorno ai quali si creano le formule economiche, finanziarie, sociologiche e comunicative dello sviluppo e del rilancio”.
Ogni momento di crisi apre nuovi scenari e opportunità. Quale potrebbe essere a suo parere il ruolo della cultura nella ripartenza di questo Paese?
“Conte ha definito il mondo della cultura divertente e appassionante (un bambino delle materne avrebbe saputo fare di meglio), Colao non ha riservato alla cultura nulla se non un vago riferimento nel suo piano. Si continua a relegare la cultura ad accessorio di cui si può parlare in un secondo momento, come se, nella società della conoscenza, fondata anche sul forte valore simbolico-culturale delle merci, che inglobano un forte contenuto culturale, la cultura fosse ancora considerata un di più. Invece, sorpresa, l’impatto diretto e indiretto del mondo della cultura sul Pil nazionale è del 16%, oltre a essere ovvio elemento costitutivo ed essenziale dello sviluppo del turismo. Vorrei poi ricordare come negli Anni Settanta e Ottanta del secolo scorso uno dei centri più importanti dell’economia fondata sulla conoscenza è stata la California, con le sue grandi università, i suoi centri di ricerca, la sua Silicon Valley, ma anche con i suoi studios cinematografici, le sue avanguardie artistiche e letterarie, ovvero la sua industria culturale. Il passaggio all’economia della conoscenza si realizza solo ed esclusivamente lì dove c’è un ambiente culturale e umano complessivamente creativo. Da troppo tempo la classe politica ha ignorato le cause profonde e strutturali del declino del nostro Paese, limitandosi a quelle più immediate e appariscenti, dimenticando su cosa sarebbe servito investire. E’ necessario dare il via a un profondo riassetto del sistema culturale italiano, oggi pieno di zone d’ombra e privo di una regolamentazione omogenea. E poi occorrono investimenti. Reali. Siamo stati graziati poiché possiamo contare su un inestimabile patrimonio storico – artistico ma dovremmo renderci conto che oltre alla conservazione, occorre dare impulso alle nuove idee, al genio creativo. All’oggi. E questo vale sia a livello nazionale che locale. Servono soldi per attivare un meccanismo virtuoso, perché di cultura si mangia: produce un indotto positivo per la comunità e un ritorno per amministrazioni e investitori privati. La cultura, nel suo insieme di imprese, artisti e patrimonio, rappresenta un motore in grado di trainare la nazione, la colonna vertebrale di un Paese e quindi anche di Carpi”.
Qual è il suo giudizio sul panorama culturale cittadino?
“Mi auguro di cuore che non si sfrutti la scusa della crisi per massacrare la proposta culturale carpigiana. Meno accessi e distanziamento non possono tradursi in un’offerta dal tono minore: non ci sto! In questo scenario occorre triplicare gli appuntamenti, creare degli eventi e mettere degli schermi in giro per la città, magari nelle aree verdi, affinché anche in periferia le persone possano godere di questi momenti ricreativi. Abbiamo trascorso mesi tra le pareti domestiche, oggi abbiamo bisogno di arte, musica, spettacolo, letteratura… come dio comanda: in presenza e in socialità. Festival Filosofia, Festa del Racconto sono ormai diventati parte dell’identità del nostro territorio. Un biglietto da visita da mostrare fuori dai confini cittadini, un bell’esempio di marketing territoriale, dunque ben vengano, ma non sono sufficienti. Si deve lavorare maggiormente sulla fascia 0 – 35 anni, pensando a eventi e rassegne dedicati a loro. Carpi non può ridursi alla Sagra del gnocco fritto o alla Notte Bianca: tutte le attività che si esauriscono in un giorno e non rientrano all’interno di un sistema, non servono a nulla”.
Piazza Martiri trasformata in un grande cinema all’aperto, dove gustare le grandi pellicole che hanno segnato la storia del cinema come accade a Bologna: è favorevole?
“Eccome. Carpi è legata al cinema, pensiamo a Carlo Rustichelli, a Liliana Cavani… sarebbe fantastico portare il grande cinema in Piazza. Da anni ripetiamo che Piazza Martiri è morta, per rivitalizzarla non possiamo certo tenerla sotto una campana di vetro. E’ vero, è molto grande, ma la si può riempire per piccoli ambiti. Un contenuto dopo l’altro. Importare in città l’esempio di Bologna, seppure con le debite proporzioni, sarebbe vincente: la bellezza è deflagrante, è la sua potenza, ti esplode in mano. Una rassegna cinematografica che riproponga non solo le pellicole della stagione in corso, bensì film in lingua originale e alcuni grandi classici della nostra tradizione post bellica e non solo. Sarebbe davvero meraviglioso. Perchè non lo facciamo subito?”.
Jessica Bianchi