Tocilizumab, il farmaco ha superato la prova: una speranza per i malati di Covid

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Professor Carlo Salvarani di Unimore

Nel contrasto a COVID-19 una speranza per la cura arriva dall’impiego del Tocilizumab, il farmaco normalmente utilizzato per la terapia della artrite reumatoide, autorizzato dall’AIFA – Agenzia Italiana per il Farmaco per uno studio clinico di Fase 2 coordinato dal Pascale di Napoli, fornito gratuitamente dal produttore Roche.
Lo studio è stato promosso dall’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Napoli in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia, l’Azienda Ospedaliero-universitaria di Modena e l’Azienda USL-IRCCS di Reggio Emilia oltre che con la Commissione Tecnico Scientifica di AIFA.
Il professor Carlo Salvarani di Unimore, direttore della Struttura Complessa di Reumatologia, direttore della S.C. Reumatologia, è uno tra i quattro autori del protocollo nazionale, ed è co-investigatore principale.
Il protocollo è stato attivato anche negli ospedali dell’Azienda USL di Modena – Carpi, Mirandola, Vignola, Pavullo – e l’Ospedale di Sassuolo grazie alla collaborazione tra Unimore e Ausl e all’azione di coordinamento tra gli ospedali della rete hub and spoke è stata garantita a tutti i pazienti ricoverati nelle strutture ospedaliere territoriali la possibilità di accedere, se in possesso dei requisiti clinici richiesti dalla sperimentazione, allo studio TOCIVID19.
“Il Tocilizumab – spiega Salvarani – è un farmaco biotecnologico, inibitore specifico dell’interleuchina 6, una citochina che gioca un ruolo importante nella risposta immunitaria ed è implicata nella patogenesi di molte malattie in cui vi è una importante risposta infiammatoria, in particolare le malattie autoimmuni. Ebbene, nelle più gravi polmoniti da COVID19, quelle che hanno la prognosi più severa, si è notato che il problema principale non è il virus ma l’abnorme risposta del sistema immunitario, una vera e propria tempesta citochinica. Questa eccessiva risposta immunitaria è in parte governata dalla interleuchina-6 e la sua inibizione può quindi ridurre questa risposta immunitaria abnorme con eccessiva infiammazione, e quindi ridurre il danno polmonare”.

Il farmaco ha superato la prova. I risultati evidenziano una riduzione della mortalità a 30 giorni. Ora lo studio sarà presto pubblicato su una rivista internazionale in modo da consentire una revisione approfondita da parte della comunità scientifica.
L’analisi primaria ha riguardato 301 pazienti registrati per lo studio di Fase 2 (in 20 ore tra il 19 e il 20 marzo) e 920 pazienti registrati successivamente tra il 20 e il 24 marzo, provenienti da 185 centri clinici distribuiti su tutto il territorio italiano, inseriti nell’analisi con l’obiettivo di confermare i risultati osservati nello studio di Fase 2.

“Questi pazienti – spiega la professoressa Cristina Mussini, Direttrice della Struttura Complessa di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena nonché Principal Investigator locale dello studio su Tocilizumab – erano stati tutti ricoverati in ospedale a causa di un quadro di polmonite insorto in corso di infezione da coronavirus, e presentavano segni di insufficienza respiratoria. Sono stati invece esclusi da questa analisi i pazienti intubati da oltre 24 ore, che saranno oggetto di ulteriore approfondimento”.
A causa della limitata disponibilità iniziale di farmaco, e della rapidissima richiesta da parte dei centri, in entrambi i gruppi, solo il 60% dei pazienti è stato trattato con Tocilizumab, in qualche caso anche a rilevante distanza di tempo dalla registrazione. Inoltre, verosimilmente a causa di una selezione operata nei centri, i pazienti trattati erano clinicamente peggiori di quelli non trattati, con insufficienza respiratoria più grave e forme di assistenza respiratoria più intensiva.
Nel corso dei 30 giorni successivi, nello studio di Fase 2 sono stati registrati 67 decessi. Come definito dal protocollo, l’analisi primaria è stata condotta sul tasso di letalità a 14 e a 30 giorni. In particolare, a 14 giorni il tasso di letalità riportato nella fase 2 è risultato 18.4%, considerando tutti i pazienti, e 15.6%, considerando solo quelli che hanno ricevuto il farmaco, entrambi inferiori, ma in maniera non statisticamente significativa, al 20% previsto a priori sulla base dei dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità nel corso dell’epidemia.
Invece, i risultati sono statisticamente significativi a 30 giorni, quando i valori di letalità sono 22.4% in tutti i pazienti e 20.0% nei soli trattati (rispetto al 35% che ci si aspettava a priori).
Il gruppo di validazione di 920 pazienti è caratterizzato da una prognosi decisamente migliore rispetto alla Fase 2, sia per i pazienti trattati con Tocilizumab che per quelli non trattati. Infatti, a 14 giorni la letalità risulta dell’11.4% in tutti i pazienti e 10.9% nei soli trattati, e a 30 giorni del 18.4% in tutti i pazienti e del 20.0% nei soli trattati.

“Questi risultati – conclude il professor Salvarani – da una parte confermano quelli riportati nella Fase 2, ma dall’altra introducono un necessario elemento di cautela nella interpretazione. L’analisi degli eventi avversi condotta nella popolazione congiunta di 708 pazienti trattati non ha mostrato segnali rilevanti di tossicità specifiche, diverse cioè dagli eventi avversi attesi nella condizione patologica di base”.
Complessivamente, quindi, lo studio suggerisce che Tocilizumab possa ridurre significativamente la mortalità a un mese, ma che il suo impatto sia meno rilevante sulla mortalità precoce. “Ci si augura che gli studi di Fase 3 randomizzati tutt’ora in corso – conclude il professor Carlo Salvarani – possano nelle prossime settimane confermare questi risultati”.
Intanto AIFA “valuta positivamente questo studio realizzato in condizioni di emergenza con alcune limitazioni e problematicità legate all’accesso al farmaco” e si afferma in una loro nota che “lo studio non fornisce una prova definitiva di efficacia del Tocilizumab in pazienti con polmonite da Covid19, trattandosi di uno studio non comparativo (di fase II). L’analisi congiunta di questo studio, assieme agli studi randomizzati in corso, consentirà quindi di ottenere una stima affidabile della entità del possibile beneficio”.

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