Ha finalmente ricominciato a suonare e a respirare senza il terrore di peggiorare. Il musicista carpigiano Marcello Davoli oggi sta bene e dopo oltre quaranta giorni si è negativizzato. “Il Covid è una brutta bestia, credo di non avere mai avuto tanta paura in tutta la mia vita. Sì, certo, sono stato male altre volte ma questa non è un’influenza, è qualcosa di molto più complesso da spiegare. In 56 anni non mi sono mai sentito così e io sono tra quelli più fortunati”. Marcello, infatti, come la maggior parte dei contagiati dal Coronavirus, ha trascorso tutta la malattia tra le mura domestiche, costantemente monitorato dagli operatori dell’Igiene Pubblica e dal suo medico curante: “non mi sono mai sentito abbandonato, ogni giorno mi telefonavano per sapere se i sintomi si fossero aggravati e per farmi sentire la loro vicinanza, ma è stata dura convivere con l’ansia che tutto potesse precipitare perché un giorni ti senti meglio e il giorno dopo di colpo tutto peggiora e ricominci daccapo”.
Marcello è certo di aver contratto la malattia in Veneto: “ho fatto la sciocchezza di andare a Venezia il 20 di febbraio in occasione del Carnevale. Sono rimasto lì due giorni ma la domenica, il 21, col primo caso italiano di coronavirus registrato a Codogno, anche per la città lagunare cominciava a salire il livello di allarme e si parlava dell’annullamento del Carnevale. L’ansia era palpabile e ho deciso di tornare immediatamente a casa”.
Una decina di giorni dopo, il 2 marzo, Marcello ha iniziato a non sentirsi bene: “ricordo che stavo mangiando cappelletti e bevendo lambrusco ma mi sembrava di masticare del cartoncino e di bere dell’acqua minerale”, racconta, poi il 5 è comparsa la febbre. “Nel giro di un giorno la temperatura è schizzata a 39 e nemmeno con la tachipirina riuscivo a farla abbassare. Ricordo di aver pensato: ci sono dentro”. In quei primi giorni concitati di emergenza, “c’era un gran caos, si leggeva tutto e il contrario di tutto. La mia ex moglie con cui condivido la stessa casa, è un medico, e insieme, dopo giorni di febbre, abbiamo deciso di andare al Pronto Soccorso. Era il 12 marzo. Una data che resta scolpita nella mia mente perché varcando la soglia del Ps sono stato accolto da due infermieri scesi direttamente da Marte. Non avevo mai visto bardature tali, è stato scioccante. Mi hanno condotto in una stanza dedicata all’isolamento dei sospetti covid dove un medico mi ha visitato. Sono stati tutti gentili e disponibili. Per fortuna i miei polmoni erano liberi ma avevo una tosse secca che non mi lasciava dormire né tantomeno mangiare e continuavo a perdere peso. Ero molto debilitato. Dopo un prelievo arterioso mi hanno sottoposto a tampone e mi hanno rimandato a casa con la raccomandazione di contattare il 118 qualora i miei sintomi fossero peggiorati e se avessi iniziato ad avere fame d’aria. Ero terrorizzato anche perché nel frattempo anche la mia ex moglie si era ammalata”.
Una volta a casa, prosegue Marcello, “non potevo smettere di osservare il saturimetro apposto al mio dito e facevo lunghi respiri per controllare che i miei polmoni si espandessero al massimo. Dopo 48 ore mi hanno comunicato la mia positività. Sono felice di essermi recato in ospedale in caso contrario son certo che sarei ancora qui a domandarmi se avessi o meno contratto il coronavirus considerato il ritardo nell’esecuzione dei tamponi ai sintomatici lievi a domicilio. Col trascorrere dei giorni ho ricominciato ad alzarmi dal letto e a migliorare, seppur molto lentamente”.
A Pasqua Marcello è stato dichiarato ufficialmente guarito, essendo risultato negativo al doppio tampone: “ora la tosse se ne è andata e sono finalmente libero ma sono ancora un po’ debilitato e quindi mi concedo il tempo necessario per riprendermi del tutto. E’ stata davvero una mazzata”.
Jessica Bianchi