Il carpigiano Carlo Alberto Amadei alla Banca mondiale

L’ingegnere ambientale Carlo Alberto Amadei vive a Washington DC dopo aver ricevuto un’offerta di lavoro dalla Banca mondiale, agenzia internazionale che finanzia progetti in paesi poveri o in via sviluppo con l’obiettivo di ridurre la povertà. Con le idee chiare e i piedi ben piantati a terra, il giovane carpigiano ha un sogno: “coniugare la mia passione per la montagna e lo sport con attività tese a combattere il cambiamento climatico”.

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L’ingegnere ambientale Carlo Alberto Amadei, 32 anni, vive a Washington DC dopo aver ricevuto un’offerta di lavoro dalla Banca mondiale, agenzia internazionale che finanzia progetti in paesi poveri o in via di sviluppo con l’obiettivo di ridurre la povertà. Con le idee chiare e i piedi ben piantati a terra, il giovane carpigiano ha un sogno: “coniugare la mia passione per la montagna e lo sport con attività tese a combattere il cambiamento climatico”. Una storia, quella di Carlo Alberto, fatta di passione, studio, sacrificio, intraprendenza e successi. La dimostrazione di come, passo dopo passo, si possa arrivare lontano. Là dove i propri obiettivi e i propri sogni possono prendere forma e colore.
Carlo Alberto, qual è il tuo percorso di studi?
“Sono laureato con lode in Ingegneria Ambientale a Modena e ho trascorso periodi di studio, di sei mesi ciascuno, in Danimarca presso la Danish Technical University e in Cina presso la Beijing University of Technology. In entrambe le esperienze all’estero mi sono concentrato nello studio di risorse rinnovabili, specialmente nell’ambito dell’energia solare. Poi ho un Master in Nanotecnologia all’Università Autonoma di Barcellona, dove mi sono focalizzato sullo studio di nanomateriali al carbonio, come il grafene. E, infine, ho conseguito un dottorato in Ingegneria Ambientale ad Harvard University, dove ho utilizzato le mie conoscenze in nanomateriali per svilupparne di nuovi per il trattamento delle acque”.
Perché hai optato per Harvard? 
“Volevo fare un dottorato per intraprendere la carriera accademica. La mia prima scelta è caduta sugli Stati Uniti per due motivi, la qualità dei programmi di dottorato e la loro miglior reputazione rispetto all’Italia e all’Europa in generale. Così ho fatto richiesta in numerose scuole statunitensi, ricevendo rejections and acceptance. Fra le offerte ricevute, Harvard era quella che, in termini di prestigio, qualità del programma e borsa di studio, offriva il miglior compromesso”.
Da quanto tempo vivi negli Stati Uniti e cosa ti ha convinto a restare?
“Vivo qui dal 2014: il programma di dottorato dura cinque anni e l’ho terminato il maggio scorso. La mia intenzione era quella di lavorare all’interno di agenzie internazionali o di continuare con la ricerca in Europa o negli States, poi ho ricevuto un’offerta da parte della Banca mondiale che ha gli headquarter a Washington DC e ho deciso di restare. In realtà, però, il mio lavoro si divide tra Washington e il Sud America”.
Gli Stati Uniti sono meritocratici? 
“E’ una domanda complicata. Se si guarda alla social mobility, ovvero a quanto ci si può muovere attraverso le varie classi sociali direi non tanto, poiché fattori che sfuggono al tuo controllo e, per definizione, non meritocratici, come il reddito dei propri genitori ad esempio, decidono quale sarà la tua classe sociale. La situazione è molto diversa per coloro che arrivano da altri Paesi: probabilmente giungendo in questo sistema trasversalmente si riesce a eluderne in parte le regole” .
Quali sono le difficoltà che hai dovuto affrontare?
“Il cultural shock provato da molti quando arrivano negli States non mi ha colpito. Harvard, infatti, è situata a Cambridge, una cittadina super internazionale e per questo il processo di integrazione è stato piuttosto semplice.
Le difficoltà maggiori le ho vissute prima di arrivare qua. Anche se per il modello italiano potevo essere un ottimo studente, non penso che il mio profilo fosse appetibile per i migliori atenei statunitensi appena laureato. Così, a parte il master in Spagna, ho trascorso due anni come ricercatore negli Emirati Arabi Uniti cercando di differenziare il mio profilo dalle centinaia per non dire migliaia di richieste che le università ricevono”.
C’è qualcosa della cultura americana che proprio non ti va giù?
“Probabilmente il fatto che la carriera abbia un ruolo fondamentale nella vita di ciascuno. In questo senso, l’equilibrio lavoro-vita personale è migliore in Europa”
Cosa ti manca maggiormente di Carpi e dell’Italia in generale?
“Direi amici e famiglia. Ma, in generale, il senso di comunità”.
Cosa dovrebbe “imitare” il nostro Paese dagli Stati Uniti?
“L’Italia dovrebbe investire maggiormente in educazione e innovazione, con la consapevolezza di avere numerose eccellenze in diversi settori”.
Al momento sei impiegato presso la Banca mondiale a Washington: di cosa ti occupi e quanto è stimolante questa esperienza?
“L’esperienza è molto stimolante. La Banca Mondiale è un’agenzia internazionale che si occupa di finanziare progetti in paesi poveri e/o in via sviluppo con l’obiettivo finale di ridurre la povertà. In particolare, mi occupo di progetti riguardanti l’acqua in Sud America. Allo stesso tempo, continuo a fare un po’ di ricerca: al momento mi sto focalizzando su analisi di economia circolare riguardanti l’approvvigionamento e il trattamento delle acque per cercare di ridurre gli impatti del cambiamento climatico. Il materiale verrà presentato dal team alla prossima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico”.
Cosa ami maggiormente del tuo lavoro?
“La presenza internazionale sul posto di lavoro, interagire coi Governi dei paesi che necessitano del nostro supporto e, in generale, poter contribuire alla missione della banca, ovvero eradicare la povertà nel mondo”.
Cosa significa vivere una realtà cosmopolita nell’era Trump? 
“Sono abbastanza biased su questo tema nel senso che ho vissuto cinque anni a Cambridge che è fortemente democratica (>90%), quindi non so se posso offrire una visione imparziale. Comunque sia, l’anno prossimo ci saranno le elezioni…”.
Spesso i ragazzi vengono screditati dal mondo degli adulti, scarsamente valorizzati o ridotti a “bamboccioni”. In realtà ve ne sono molti desiderosi di mettersi alla prova e costruirsi un futuro appagante. A questi consiglieresti di vivere un’esperienza di studio o di lavoro all’estero?
“Certamente, io feci la prima a 16 anni come lavapiatti in Canada. Poi, pian a piano, le esperienze all’estero acquisteranno di valore. Consiglio inoltre di associarle a un percorso di studio dal momento che esistono delle borse di studio per contenere i costi. E poi, mi raccomando, non dimenticate di chiamare mamma a casa”.
Sogni nel cassetto?
“Cercare di lasciare un impatto positivo nei progetti in cui lavoro e nelle persone con cui collaboro quotidianamente. Nello specifico, coniugare la mia passione per la montagna e lo sport con attività tese a combattere il cambiamento climatico”.
Al momento sei impegnato in progetti al di fuori dell’ambito lavorativo?
“Questa estate, insieme a due amici, ho scalato il monte Denali, la montagna più alta degli Stati Uniti, seguendo una dieta rigorosamente vegana. La montagna è famosa perché fa parte dei Seven summits e, dal punto di vista fisico-tecnico, è piuttosto esigente. Abbiamo impiegato 16 giorni per giungere in cima. Il progetto è stato sponsorizzato da Harvard, MIT, GoPro e Arc’teryx in quanto l’intento è di sensibilizzare le persone sugli impatti ambientali del food system e sulla necessità di cambiare il modo in cui consumiamo cibo optando per metodi maggiormente sostenibili. Stiamo lavorando a un video – che abbiamo appena mostrato a Boston e presto posteremo su Youtube – che ha lo scopo di intrattenere lo spettatore ma, allo stesso tempo, diffondere le ultime informazioni scientifiche legate all’impatto ambientale che hanno le nostre scelte quotidiane. Naturalmente, non vogliamo convincere le persone a cambiare la loro dieta ma solamente a fare scelte consapevoli e informate al fine di ridurre la loro impronta ecologica”.
Il tuo futuro dove lo immagini? Oltreoceano o in Europa?
“Difficile a dirsi”.
Jessica Bianchi

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