Accogliere lo straniero e la lezione degli antichi

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“Che stirpe è questa di uomini, che barbara patria è questa che permette questi usi? Ci nega accoglienza alla riva, viene a aggredirci e ci scaccia dal margine estremo del lido. Se disprezzate il genere umano e le armi mortali, temete almeno gli dei memori di giustizia e iniquità”: sceglie di affidarsi parole del troiano Ilioneo, narrate da Virgilio nell’Eneide, il filologo, latinista e antropologo Maurizio Bettini, per introdurre la sua lezione magistrale sullo ‘Ius humanum’, o Diritto umano non occasione del Festival Filosofia. “L’Eneide non è soltanto un immenso capolavoro letterario – ha spiegato Bettini – ma un testo che, nei secoli, ha profondamente contribuito a formare la cultura in cui viviamo ancora oggi”. A partire dai profughi troiani – che, guidati da Enea, prima di trovare rifugio in Italia chiesero e ottennero aiuto da Didone, regina della nascente Cartagine, sulle coste dell’attuale Tunisia – l’autore ha tracciato la lunga e intricata genealogia del concetto di diritti umani, caratterizzata da quanti, come Aristotele e Agostino, hanno teorizzato la schiavitù come dato naturale, causato dal fatto di una differenza biologica tra gli uomini, e coloro che, come lo stoico Seneca, hanno cercato di mitigarla, senza tuttavia metterla mai in discussione nei suoi fondamenti, o ancora Cicerone, che nel ‘De officiis’, pur teorizzando i ‘communia’, ovvero una serie di princìpi e prescrizioni che delineano un sistema di reciprocità di diritti e doveri fra gli uomini, ha tuttavia stabilito una priorità nei confronti di familiari, amici e concittadini. “Non dobbiamo dimenticarci che i termini umanesimo e umanità derivano dal latino ‘humanitas’, che ha un triplo significato: in prima battuta indica l’essere un uomo, appartenere cioè al genere umano; tuttavia, una seconda accezione riguarda il comportamento mite, civile, generoso; una terza, infine, colui che ha una cultura, che ha letto dei libri”. Una società, quella greca e latina, in cui, a fianco della schiavitù, comunemente accettata, vigeva anche un sacro rispetto per la figura dello straniero. Secondo un antico mito dell’Attica arcaica c’erano infatti tre maledizioni sacre che i Bouzygay, sacerdoti delle attività agricole e dell’aratura in particolare, potevano scagliare: a chi negava acqua e fuoco; a chi non indicava la strada al viandante; a chi non seppelliva i cadaveri. In questo senso, il mito di Antigone, la ragazza uccisa per aver osato seppellire il fratello morto in battaglia, violando l’ordine del re di Tebe Creonte, difende non tanto il diritto della famiglia contro quello dello Stato, come vuole l’errata lettura del mito compiuta da Hegel, bensì un diritto fondamentale, quello di seppellire i morti”. Nell’antichità, insomma, nei secoli e dalle culture da cui veniamo, il rispetto degli altri, pellegrini, naufraghi o stranieri che fossero, era considerato non tanto un diritto quanto un dovere imprescindibile, una stretta osservanza alla volontà degli dèi. Una lezione e uno spunto di riflessione che potrebbero avere cittadinanza assoluta anche nel dibattito odierno.
Marcello Marchesini

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