La scorsa settimana vi abbiamo raccontato la storia di Erika Borellini: ha solo 25 anni ma già da sei si prende cura, giorno dopo giorno, della madre. Nonostante il peso di tale compito, Erika non ha mai rinunciato agli studi e, a febbraio, si è laureata con 84/110 in Ingegneria Elettronica all’Ateneo di Modena. Ora, però, per un solo punto, non può accedere alla Magistrale: “non chiedo favoritismi – specifica – semplicemente un poco di flessibilità”. Unimore però non fa eccezioni e le ha sbattuto la porta in faccia. Sul caso di Erika interviene Licia Boccaletti, presidente della cooperativa sociale Anziani e non solo da anni in prima linea dapprima per ottenere il riconoscimento giuridico dei caregiver e ora per tutelare i diritti di chi, quotidianamente, dedica la propria vita alla cura di un famigliare anziano o malato.
“La storia di Erika – sottolinea Licia Boccaletti – e delle difficoltà che deve affrontare nel suo percorso universitario è un chiaro esempio di cosa significhi essere un giovane caregiver oggi in Italia e desideriamo ringraziare lei, per essersi esposta, e il giornale per aver dedicato spazio a questa tematica.
Secondo le statistiche ufficiali, che certamente sottostimano i dati reali, circa il 7% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni si prende cura di un proprio familiare malato o disabile. Un numero enorme di giovani molto spesso ignorati tanto dai servizi quanto dalla società in generale. Eppure, tutte le ricerche svolte sino ad oggi indicano che l’assunzione di responsabilità di cura durante l’infanzia e l’adolescenza rappresenta un fattore di rischio rilevante sia per lo sviluppo nei ragazzi di problemi di salute mentale (sia immediati che a lungo termine) che relativamente a benessere, compimento dei compiti evolutivi e transizione all’età adulta, in particolar modo – come dimostra il caso di Erika – riguardo l’inclusione sociale, la formazione e la carriera.
Certamente, le istituzioni – a partire dalla scuola fino all’università – così come i professionisti e i datori di lavoro possono fare molto a livello individuale, in primo luogo “vedendo” i giovani caregiver, facendoli sentire riconosciuti nel loro ruolo e nelle loro difficoltà e applicando, quando possibile, strumenti di flessibilità e professionalizzazione.
Tuttavia, il vero cambiamento potrà avvenire solo quando i giovani caregiver saranno formalmente riconosciuti e saranno promosse delle politiche loro dedicate. In ambito europeo, esistono esperienze di successo di Università che hanno adottato policy dedicate agli studenti con responsabilità di cura che potrebbero essere trasferite anche in Italia e che potrebbero supportare persone nella situazione di Erika, tenendo in considerazione gli impatti che le responsabilità di cura possono avere sulla frequenza o sul rispetto di scadenze.
Ci auguriamo davvero che Erika e i ragazzi come lei non vengano dimenticati e che si attivi presto un dibattito pubblico sui giovani caregiver che possa condurre anche nel nostro Paese all’approvazione di strumenti di supporto per chi deve affrontare responsabilità di cura in una fase di transizione all’età adulta”.
J.B.