E’ l’amore, quello assoluto, viscerale, totalizzante, il vero protagonista de Le Comete, il nuovo romanzo del carpigiano Marco Lugli. In un serrato dialogo a due voci, uno scrittore e la sua giovane amante si interrogano, lasciando che il passato si sveli in tutta la sua prepotenza. Sapranno difendersi dal segreto celato tra le pieghe di quel passato? Fino a dove l’amore concederà loro di spingersi, di perdonare? Il ritmo è incalzante, la scrittura brillante, mentre l’inverno salentino si fa spazio sullo sfondo. “Il Salento d’inverno ti spacca in due, ma non ho alcuna intenzione di lasciarglielo fare”.
I personaggi sono tratteggiati in bianco e nero. Ruvidi come la terra rossa del Sud. Poche le sfumature a loro concesse. “Ti piaceva ripetere che la fortuna di coloro che sono nati alla fine del Salento è che possono andare solo verso nord, senza neppure essere percorsi dal dubbio che esistano altre direzioni. E da figlia sincera di questa punta di terra, avevi quel tipo di determinazione che solo la mancanza di alternative può instillare in una persona”. Eccola Maria. Maria Bello, l’amore perduto, quello giovanile, dello scrittore. Un ricordo, il suo, che torna e si incarna, potente e struggente, nel momento in cui la donna muore. Perchè “fissare il volto della ragazza che era morta con oltre quarant’anni di anticipo sul suo programma, quella che non avrebbe potuto vedere il suo astro preferito per la seconda volta” spalanca burroni. Riapre ferite. E poi, sulla soglia di casa, c’è lei. C’è Ipazia. La fotografa che lo ha stregato. “Ipazia ha quella capacità di svaporare con un battito di palpebre o modulazione di voce ogni mia tensione, ogni mia scintilla polemica. Ipazia ha trent’anni. Venti meno di me”. Un incontro fortuito, il loro, inaspettato e inatteso. “Accadde in una libreria di Lecce durante la presentazione dell’ultimo romanzo. Lei era la fotografa incaricata dall’agenzia stampa. La notai perché il flash della sua macchina fotografica mi infastidiva. Lo usava troppo spesso e veniva troppo vicino”. Cosa ci fa la donna che ama nella casa di Maria, l’adolescente spontanea e anticonvenzionale con cui aveva ammirato la cometa ai Fani? Già, la cometa, “la nostra cometa”. L’inizio di tutto. «Senti, ma Maria Bello era…?» «Era mia madre.» Mi ha risposto di fretta, con parole sospinte fuori da qualcosa che scalpita per uscire. E so bene che quel qualcosa è la seconda domanda. Quella che mi manderà in confusione. «La conoscevi?». A caccia di risposte Ipazia incalzerà l’amante. Troppi i buchi, gli strappi, i segreti taciuti dalla madre. Una madre a metà, chiusa nei suoi silenzi. «Sorrideva, quando la conoscevi tu?». E così il passato torna, improvviso. Inesorabile. E con lui, a farsi largo, inaspettata, pungente, è la paura. Un timore non detto inizia a serpeggiare. A prendere forma. “Avrei dovuto convincere Ipazia che aver scopato con sua madre trent’anni prima non era poi così importante ai fini del buon proseguimento della nostra relazione”. Ma le parole hanno un peso. Così come il passato. I piani temporali si fondono e si confondono. Gesti antichi si ripetono, mentre un dubbio continua a restare sospeso. Atroce. Improcrastinabile. Forse l’amore che li unisce sarà più forte. Forse, quello stesso amore, li porterà dritti verso un’altra cometa…
Jessica Bianchi