Una nuova generazione di architetti si è messa in mostra nei locali del Museo Civico di Crema e del Cremasco dal 19 al 21 ottobre nell’ambito del convegno Una nuova generazione. Tra queste giovani e brillanti menti ha spiccato quella di Giulia Setti, carpigiana classe 1986: nonostante la giovane età ha già collezionato numerosi traguardi professionali sia in Italia che all’estero.
Dopo essersi laureata in Architettura al Politecnico di Milano, e aver conseguito il dottorato di ricerca in Progettazione architettonica e urbana presso lo stesso Istituto, Giulia da tre anni è stata scelta proprio dal Politecnico per insegnare Architectural Design (Composizione Architettonica) e partecipare a diversi workshop in India e Cina.
Un talento che si è fatto notare in ambito accademico e non solo, al punto da essere stata selezionata per esporre il progetto al centro della sua tesi di dottorato in occasione di uno dei più importanti dibattiti del settore.
“Sono stata invitata a intervenire durante la conferenza del 20 ottobre intitolata Il ruolo dell’Architetto nel benessere della Città – ha spiegato Setti – che aveva come obiettivo il confronto e il dialogo tra esperti, docenti e professionisti sul ruolo dell’architetto (e dell’architettura) nella trasformazione delle città contemporanee e nel benessere del cittadino. Un ruolo complesso, sempre più orientato a un sapere multidisciplinare in grado di cogliere le sfide della contemporaneità. L’esperienza di Una nuova generazione mostra come sia utile, e necessario, il dibattito aperto e partecipato sulle questioni urbane, in questo senso il lavoro degli architetti Andrea Bulloni e Matteo Serra – curatori dell’evento – ha saputo cogliere nel segno, mostrando come l’architettura possa, e debba, tornare al centro del dibattito tra cittadini e istituzioni”.
Su cosa si è concentrato il tuo intervento?
“Su tre temi: architettura e produzione, architettura e spazio pubblico e, infine, architettura e spazio informale. Il rapporto tra architettura e produzione osserva i processi e le forme di dismissione (e riuso) industriale in corso, in Italia e in Europa; in questo contesto, il progetto di architettura può costruire strategie di intervento necessarie al recupero e al riuso dei luoghi industriali in spazi ancora produttivi. La relazione tra architettura/città e spazio pubblico osserva le recenti trasformazioni in corso a Milano (ma anche in altre città europee) mostrando la necessità di tornare a costruire e abitare gli spazi pubblici delle nostre città. Spazi che diventano ibridi, che sono condizionati da istanze private e da usi diversi del suolo urbano; spazi che, però, ritornano alle città e ai cittadini. Questo tema è stato oggetto di una recente pubblicazione dal titolo Tensioni Urbane. Ricerche sulla città che cambia (edito da Lettera Ventidue nel 2017) e scritto insieme a tre colleghi del Politecnico di Torino: Michele Cerruti But, Agim Enver Kërçuku e Ianira Vassallo.
L’aspetto dello spazio informale è emerso parlando della mia esperienza in India e, in particolare, nella città di Ahmedabad dove ho insegnato e vissuto per oltre un anno tra il 2014 e il 2015. Qui l’informalità implica una modificazione radicale nella concezione del progetto di architettura e, in particolare, nella definizione del concetto di spazio pubblico. L’esperienza di lavoro e ricerca condotta ad Ahmedabad ha permesso di cogliere e studiare il ruolo dell’architetto nei contesti informali, nonché le forme e gli usi dello spazio indiano in continua trasformazione.
In questo senso, il mio contributo al convegno ha cercato di raccontare tre diverse esperienze di ricerca sul campo, utili a capire come il progetto di architettura possa essere uno strumento di indagine operativa dei fenomeni di trasformazione urbana in corso”.
Hai in programma nuovi progetti all’estero?
“Nel mese di dicembre tornerò ad Ahmedabad per un workshop internazionale insieme ad alcuni studenti del Politecnico di Milano e della Facoltà di Architettura del CEPT University.
Si tratta di un progetto di ricerca aperto e ancora in corso che indaga le forme di mappatura e lettura dello spazio informale indiano. Inoltre, nell’ultimo anno sto lavorando sul contesto cinese, in particolare a Shanghai e a Xi’an, sia attraverso workshop con studenti del Politecnico di Milano che attraverso ricerche individuali. Lo strumento del workshop intensivo mi pare un modo molto utile di riflettere sulle modificazioni di contesti complessi come il caso indiano”.
Chiara Sorrentino