“Se si accetta come inevitabile, la triangolazione tra potere, verità e soggettività, allora realtà e verità non sono mai la medesima cosa”. E' questa la premessa di Simona Forti, professoressa di Storia del pensiero politico contemporaneo presso l’Università del Piemonte Orientale, nella sua lectio, Menzogne istituzionalizzate – Dai regimi totalitari alle post-democrazie. Esistono verità che riguardano enti razionali, come i numeri ad esempio, e altre che hanno a che fare con gli accadimenti storici, ovviamente, “su questi ultimi, potere e linguaggio esercitano un'influenza assai maggiore”. Ma cosa è cambiato dai regimi totalitari del Novecento a oggi, in quella che tanti hanno definito l'era della post verità? “Il motto di Nietzsche, secondo cui Non esistono fatti ma solo interpretazioni, assunto da vari filosofi come colonna portante del post moderno, è una visione troppo semplicistica”. Per Simona Forti “tra le due guerre del Novecento si è inaugurata una nuova epoca, quella della menzogna performativa. La menzogna implica sempre una relazione, a differenza della verità si rivolge sempre all'altro con la funzione di celare, ingannare… di portare l'altro sulle proprie posizioni anche quando queste sono solo proclamate e non verificate”. La menzogna performativa ha uno scopo preciso, distruttivo: “riplasmare il mondo e distruggere la trama della realtà. Il vero trauma dunque consiste nell'essere passati da una menzogna intesa come mero nascondimento di una realtà circoscritta a una svincolata da ogni realtà di fatto. La verità del regime non serve solo per far obbedire i propri sottoposti ma per farli aderire totalmente a quanto proclamato dall'ideologia. Durante la cosiddetta fase fredda, i pensatori dissidenti dei paesi dell'Est, negli Anni '60, teorizzarono che tutta l'Europa avrebbe avuto un destino comune, una sorta di standardizzazione globale post totalitarismo. Una volta riscritto il linguaggio per impedire il pensiero eretico, i regimi non avevano più bisogno del fucile. Restava un totalitarismo mite, una menzogna proclamata che assecondava i cittadini, ma fiaccava la resistenza”. Secondo Forti anche nelle nostre democrazie, “sempre più deboli e con meno demos”, la menzogna continua a esistere “come dimostrazione di puro potere”. E più sono “grossolane”, più i nostri governanti “affermano e confermano il proprio potere”. Le mistificazioni sui numeri dei migranti, la creazione di muri e barricate… “io non credo che i vari Trump e Salvini credano davvero alle loro affermazioni”. E i cittadini non fanno eccezioni: “accettano la menzogna perchè dà loro garanzie. Non fare domande è più semplice”. A chi accetta passivamente tale stato di cose si aggiunge un nuovo fenomeno, “un nuovo tipo di soggettività. Coloro che intuiscono, mettendo in discussione tutte le elite, le professioni, la scienza…”. Dai complottisti ai no vax. “Singole intuizioni che diventano informazioni”, come se democrazia volesse dire “pari dignità per tutte le locuzioni”, ironizza Simona Forti. Una “continua messa in questione dell'autorità che si sta trasformando nella polverizzazione dell'autorevolezza”. Menzogne che distraggono, che generano “confusione” e una profonda incapacità di “comprendere la realtà”. Per la docente, si costruiscono menzogne, “per supplire al senso di inadeguatezza, di irrilevanza. Non importa quale sia la narrazione, basta non sentirsi superflui, mettere ordine nel disagio che si prova. Il mondo in cui ci muoviamo è un caleidoscopio, ogni giorno vengono prodotte nuove realtà e noi siamo immersi in un vero e proprio vortice”. Per Simona Forti non si può uscire dalla triangolazione tra potere, verità e soggettività, ma possiamo cercare di diventare “soggetti di critica. Persone che hanno il coraggio di affermare il proprio desiderio di verità. Una ricerca, quella della verità, che corrisponde a una pratica di libertà”. O, come direbbe, Michel Foucault, “decidere di parlare anziché tacere, usando i toni della franchezza piuttosto che quelli della persuasione”.
Jessica Bianchi