La mia odissea in Pronto Soccorso

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Lo mandano via dal Pronto Soccorso per un presunto strappo muscolare ma la sua è una trombosi alla gamba. Al centro della spiacevole vicenda un carpigiano settantenne: “mi sono svegliato – racconta – con un dolore lancinante alla gamba. Non riuscivo nemmeno ad appoggiarla a terra e mi sono preoccupato dal momento che non avevo subito traumi né l’avevo sottoposta a sforzi. Pur non essendo solito recarmi al Pronto Soccorso, ho deciso di andarvi per essere più tranquillo”. Al triage, gli osservano il polpaccio e lo mandano in Ortopedia: “una volta arrivato in Reparto e aspettato il mio turno, il medico mi ha liquidato dicendomi che senza un’ecografia non poteva accertare alcun problema muscolare e mi ha rispedito in Pronto Soccorso. Lì – prosegue – un’infermiera mi ha invitato a recarmi dapprima dal mio medico curante affinché mi prescrivesse un’ecografia muscolo tendinea e poi al Cup per fissare un eventuale appuntamento. A quel punto me ne sono tornato a casa e ho chiamato il mio dottore dal momento che la gamba mi faceva un male cane”.
Il medico di famiglia però vuole vederci chiaro e raccomanda al paziente di andare da lui immediatamente: davanti alla gamba gonfia, calda e dolorante, gli prescrive un ecodoppler e dell’eparina, temendo una possibile trombosi. Il dolore però non accenna a diminuire e alla sera, l’uomo, accompagnato dalla figlia, torna in Pronto Soccorso: “ho aspettato dalle 18 alle 23 seduto sulla seggiola della sala d’attesa. Una tortura. Poi, sfinito, mi sono rivolto all’operatore del Triage per dirgli che me ne sarei andato a casa considerata la lunga attesa. Lui, come se nulla fosse, mi ha risposto dicendomi di tornare il giorno dopo, alle 8, perché a quell’ora avrei trovato il personale per fare l’eco e così ho fatto”. Il terzo accesso al Pronto Soccorso è una vera e propria beffa: “il dolore non era diminuito di una virgola e anziché sentirmi accolto, al triage mi hanno ribadito che sarei dovuto andare al Cup a prendere un appuntamento come da loro istruzioni. Stufo di sentirmi preso in giro, offeso e rifiutato, sono uscito”. “Irritata dal trattamento vergognoso ricevuto a Carpi e preoccupata per la salute di mio padre – prosegue la figlia – ho deciso di andare a Baggiovara. In men che non si dica, mio padre è stato visitato da un chirurgo vascolare. La diagnosi? Una trombosi alla gamba”. Che il Ps di Carpi sia  inadeguato in termini di spazi e di dotazione organica lo sappiamo da tempo ma questo non può certo ripercuotersi sull’utenza. Politiche aziendali discutibili non possono inficiare la salute e il benessere di operatori stanchi e pazienti bisognosi di cure e attenzioni. Qualcosa deve cambiare: occorrono più fatti e meno chiacchiere. “Non vogliamo fare alcuna polemica – concludono padre e figlia – ma, forse, un bagno di umiltà sarebbe d’uopo. Prima di liquidare la gente è necessario capire chi si ha davanti. Soprattutto quando si parla di salute”.
Jessica Bianchi

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