Ho il virus del Tridente e non ne voglio guarire

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Come vivere felici e contenti per 66 anni sempre alle dipendenze della stessa ditta e facendo  lo stesso lavoro. E non volersene staccare nemmeno ora che è in pensione.
Racconta questo suo ‘amore’ per la ‘sua’ ditta Ermanno Cozza, classe 1933, entrato alla Alfieri Maserati di via Ciro Menotti a Modena nel 1951, subito dopo il diploma all’Istituto Corni, nel libro edito da Nada e titolato Maserati nel cuore. E  da allora ha sempre varcato tutti i giorni lo stesso cancello per 66 anni e nei primi tempi anche di sabato e di  domenica mattina, come ricorda egli stesso.
“Perché se il lavoro che fai ti appassiona – spiega  con candore misto ad un pizzico di ingenuità – non ti accorgi delle ore che fai e non senti nemmeno la fatica. E lavorare in una importante fabbrica di auto da corsa e da turismo ti gratifica a tal punto da non guardare mai l’orologio quando sei nei capannoni o quando devi preparare un’auto da corsa che deve disputare un gran premio o un’auto da turismo che costa milioni a chi la compra”.
Un uomo d’altri tempi questo Ermanno Cozza che usa un linguaggio inconsueto per i rapporti sindacali e di lavoro odierni. Ma tant’è. Non vuole sentire  ragioni e sostiene di essere lui dalla parte della ragione e di averla sempre pensata così.
Ma come nasce un’auto da corsa?
“Dal cuore prima ancora che sul banco dei progettisti e dal lavoro manuale dei meccanici. E’ come partorire una tua creatura, vederla crescere, svilupparsi e sentire il fascino del rombo del motore ai primi collaudi. E’una esperienza e una sensazione magica, indescrivibile, che bisogna provarla per capirla fino in fondo”.
Ma c’è tra le ‘sue’ creature una che ricorda con maggiore effetto?
“Tutte – la sue prevedibile risposta – ma se proprio insiste le dico la monoposto 250F che ha corso dal 1954 al 1960, praticamente imbattibile”.
E come vivevate voi meccanici la rivalità con la Ferrari?
“Con orgoglio e senso di appartenenza al Tridente, con entusiasmo, toccando il cielo con in dito quando vincevano Fangio o Farina o Stirling Moss con una delle nostro auto, o con Jean Behra quando nel 1957 vinse il Campionato del mondo di Formula uno. Perché a Modena allora la città divisa in due tra tifosi della Maserati e della Ferrari, come tra Coppi e Bartali”.
Ha avuto negli anni richieste da parte di altre case automobiliste, dalla Ferrari, per esempio, per traslocare?
“Si, tante,  dallo stesso Ferrari, ma ho sempre rifiutato.  Troppo affezionato e legato al nome e al mito Maserati”.
 L’azienda della famiglia Orsi ha avuto tuttavia anche dei momenti di difficoltà. Come li ha vissuti?
“Purtroppo si – ammette Cozza – prima  negli anni ’50 quando il commendator Orsi aveva addosso la Cgil per motivi politici e non sindacali. Poi ancora nel 1966 quando facemmo l’accordo con la Citroen e successivamente con la Cooper e De Tomaso. Oppure nel 1997 quando entrò nel capitale sociale di Maserati proprio la Ferrari con una propria quota azionaria. Fino a quando nel 2005 il Tridente non divenne tutto della Fiat. Erano gli anni di Montezemolo”.  
E ora come vede il futuro del Tridente?
“Sono fiducioso perchè è una bella macchina, perché ha una storia e una tradizione importanti alle spalle, perchè è une delle eccellenze italiane nel mondo, perché ha un pool di progettisti, di tecnici, di meccanici di assoluto valore che non temono confronti”.
Un amore insomma sbocciato 66 anni fa e che non dà ancora segni di stanchezza in questo uomo detentore della storia e dei segreti di un gioiello della tecnologia e della meccanica italiana.
Cesare Pradella