“Basta poco per essere felici”

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“Sono attratta dalle reazioni umane e, in particolare, dai legami che si intrecciano all’interno delle famiglie. Luoghi che rispecchiano la società e dove, spesso, si consumano silenzi. Laddove vi sono amore e vicinanza infatti, molte, troppe cose vengono taciute”. Ed è proprio nelle pieghe di quei silenzi che, secondo Cristina Comencini, la letteratura si intrufola, dando voce “al non detto, al senso di vergogna, all’inquietudine, alla potenza dei sentimenti”. Nel suo ultimo romanzo Essere Vivi, la scrittrice ritrova nell’infanzia il momento più magico, “quello della scoperta della propria energia vitale. Ognuno di noi, da bambino, è stato portatore di una straordinaria energia. Una consapevolezza che si può ritrovare soltanto abbandonando la lotta quotidiana che da adulti intentiamo con la vita. I bambini giocano tra le rovine. Sono vivi. Nonostante la guerra, l’orrore… sono vivi nonostante tutto”. E allora il grande interrogativo è come ritrovare quella edenica condizione? Quella felicità pura, selvaggia, primigenia? “Viviamo con la sensazione perenne di aver perduto qualcosa: solo ricollegando tutti i pezzi, comprese le catastrofi attraversate, così come i grandi dolori e le immense gioie, possiamo ricongiungerci con noi stessi”. Anche la morte, secondo la Comencini, è qualcosa che dobbiamo  tenerci stretta. Vicina. “Perché anche se ci fa paura, ci fa sentire vivi”. Quella della Comencini in fondo è una poetica delle piccole cose: “la bellezza di essere vivi anche in luoghi difficili è comunque qualcosa di straordinario. Il mondo è un posto dove ci sarebbe tutto il necessario per essere felici”. Una felicità che esige di essere ascoltata. Protetta. Prendendosi il tempo necessario per comprendere ciò che accade dentro e fuori di noi. Un amore, quello per la vita, che è l’unico insegnamento di cui un genitore deve farsi carico: “non dobbiamo cadere nell’inganno di dover fare e fare cose per i nostri figli. Dobbiamo lasciarli tranquilli, insegnando loro l’amore per la vita come scriveva Natalia Ginzburg”. E  nell’amore per la vita non vi è spazio per la nostalgia: “un sentimento autoreferenziale, mortifero. Quando moriremo, di noi non resterà nulla. Provare nostalgia per il passato è un esercizio inutile. Siamo vivi qui e ora”. Un rapporto quello tra genitori e figli, “denso, appassionato, difficile. E’ lì che ci giochiamo tutto. Spesso però nel rapporto madri-figli e padri-figlie non passa l’aria: troppo silenziosi i primi ed eccessivamente simbiotici gli altri. I padri dovrebbero smettere di essere degli sconosciuti e le madri dovrebbero a loro volta allentare la presa”. La cristallizzazione, l’immobilità di queste relazioni “complicano la vita adulta”, continua Cristina Comencini. “Non esiste alcuna possibilità di mutare il rapporto uomo e donna se non attraverso un’azione comune, condivisa.  Violenza, femminicidio… sono fenomeni terribili che esigono, per essere superati, l’impegno di tutti: uomini e donne. Non credo nelle contestazioni o nelle manifestazioni contro gli uomini bensì in quelle con gli uomini”. L’impegno dei maschi dev’essere quello di comprendere che l’abbandono di una donna, la quale esercita il suo inviolabile diritto di perseguire la propria libertà, “non è una tragedia. Essere lasciati crea una ferita, genera risentimento. Capire e accogliere quel dolore, farlo emergere, è il primo passo per non colpire”, afferma con forza la Comencini. Per non sferrare un pugno. E poi un altro ancora. Per non uccidere. 

Jessica Bianchi