Un patto di ospitalità

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Aprire le parrocchie ai rifugiati e ai richiedenti asilo. Questo l’accorato invito che Papa Francesco ha lanciato al mondo cattolico. “Dopo l’appello del santo padre anche noi di Caritas Carpi abbiamo iniziato a interrogarci su come avremmo potuto fare la nostra parte per accogliere queste persone bisognose di aiuto e ospitalità”, spiega Roberta Della Sala. Caritas Italiana aveva già sperimentato, in sette diocesi del nostro Paese, nel 2014, il progetto di accoglienza e integrazione Rifugiato a casa mia: una testimonianza concreta di come le nostre comunità possano essere laboratori di un nuovo umanesimo, fatto non di divisioni e contrapposizioni, bensì di relazioni e di incontri. “Il progetto, che ha avuto un grande successo, vedeva il coinvolgimento dell’intera comunità cristiana – prosegue Roberta – in uno sforzo volto all’accoglienza  presso famiglie, istituti religiosi o parrocchie, dove i beneficiari venivano seguiti da famiglie tutor. Oggi il progetto ha mutato forma: la famiglia, pur rimanendo il perno attorno al quale ruota l’accoglienza, non è sola. Numerosi i soggetti che la sostengono in questo compito tanto prezioso quanto impegnativo. Ad aprirsi sono tutte le strutture diocesane: a Carpi la scelta fatta è stata quella di collocare i profughi in appartamenti parrocchiali. Dopo aver inviato una lettera ai nostri parroci, chiedendo il loro aiuto, le cinque parrocchie della seconda zona pastorale (Quartirolo, Corpus Domini, Santa Croce, Gargallo e Panzano) si sono fatte carico delle spese legate all’affitto e alle utenze di un appartamento nel quale oggi vivono due giovani”.  I due ragazzi, inseriti nell’ambito del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) della Provincia di Modena, tramite l’ente gestore Coop sociale Caleidos, provengono da Gambia e Guinea: “hanno tra i 23 e i 25 anni. Entrambi hanno conosciuto la violenza, sono passati per la Libia e approdati in Italia, un paio di anni fa, con l’operazione Mare Nostrum”, spiega Roberta.  Siriani e iracheni tutti profughi, africani tutti migranti economici? Non è così semplice. Il continente africano, composto da 54 paesi, è attraversato da crisi umanitarie profonde, sconvolto da guerre civili e sanguinose faide.
Dal colpo di Stato del 22 luglio 1994 in Gambia, piccola striscia di terra incuneata nel Senegal, regna il clima di terrore instaurato dal presidente Yahya Jammeh. Più di un ventennio di regime dopo, la situazione dei diritti umani non smette di aggravarsi: torture, sparizioni ed esecuzioni sono all’ordine del giorno. Guinea e Guinea Bissau sono invece paesi dove non si sono instaurate vere e proprie dittature, bensì regimi autoritari non democratici, in genere frutto di golpe, che non rispettano i diritti umani.  I due giovani ospitati in città, che stanno conducendo dei tirocini formativi di lavoro a Modena e sono autonomi, hanno come punto di riferimento una famiglia tutor di Santa Croce: “padre, madre e quattro figli adolescenti davvero speciali”, sorride Roberta. “I due giovani consumano insieme a loro i pasti serali, condividono il proprio tempo libero, soprattutto la domenica, e sperimentano la bellezza e la gioia del vivere in una famiglia amorevole”.
Jessica Bianchi

 

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