Quello degli Organismi Geneticamente Modificati (Ogm) è un tema che scotta, capace di scatenare aspre diatribe. Il patrimonio genetico di verdura, frutta e animali viene manipolato in laboratorio per ottenere accrescimenti più rapidi, incroci maggiormente appetibili e modellare le caratteristiche determinate in favore dell’uomo. Gli organismi così modificati possiedono un dna diverso rispetto a quello donatogli dalla Natura. Entro i confini nazionali vige il divieto assoluto di piantare sementi geneticamente modificate ma ciò non significa che in Italia non si utilizzino prodotti manipolati dalla mano dell’uomo, largamente importati dall’industria mangimistica. Il 90 per cento del mais, (idem per la soia) in Italia è utilizzato per produrre mangimi destinati agli allevamenti: la maggior parte è di provenienza extra europea ed è Ogm. Paradossalmente, e che ci piaccia o no, tutti noi ci nutriamo di organismi geneticamente modificati: sulle nostre tavole e nei nostri piatti infatti, vi sono carne, latte, uova e formaggi prodotti da animali che si sono nutriti con cereali modificati, seminati, cresciuti e raccolti altrove. Tali organismi fanno quindi parte della nostra catena alimentare. Ma è davvero così che vogliamo nutrirci e nutrire il nostro pianeta? Lo chiediamo a Giovanni Duò, direttore di Coldiretti Modena.
Sul territorio italiano è vietata la coltivazione di tutti gli Ogm autorizzati a livello europeo, nonostante ciò gli animali allevati per produrre eccellenze enogastronomiche quali parmigiano reggiano e prosciutto di Parma vengono nutriti con cereali geneticamente modificati. Come commenta tale paradosso?
“Innanzitutto occorre puntualizzare che in Europa l’Italia non è da sola. Oltre a noi ci sono infatti altri 18 Paesi comunitari che hanno deciso di vietare gli organismi geneticamente modificati: Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Slovenia, e Ungheria, mentre la Gran Bretagna ha presentato domanda per Scozia, Galles e Irlanda del nord e il Belgio per la Vallonia. Si tratta di una conferma della crescente opposizione agli organismi geneticamente modificati in agricoltura in tutta Europa: non hanno mantenuto le promesse miracolistiche. In Italia il divieto agli Ogm, peraltro, trova d’accordo quasi 8 cittadini su 10 (76 per cento) secondo un’indagine Coldiretti/Ixé. E’ vero che la materia prima per il mangime dei nostri allevamenti arriva dall’estero, senza certificazione no-Ogm, ma c’è anche da rilevare che il mercato dei mangimi senza Ogm, secondo uno studio di Consorzi Agrari d’Italia (Cai), è cresciuto del 15 per cento negli ultimi tre anni. Proprio i consorzi agrari aderenti a Cai hanno fatto una scelta di campo avanzata, a tutela del prezioso patrimonio alimentare Made in Italy, convertendo tutti i mangimifici alla produzione di mangimi no Ogm. Dalla conversione degli impianti già per l’annata in corso si prevede la produzione di 280mila tonnellate di mangimi no-Ogm che saranno commercializzati con l’unico marchio di Consorzi Agrari d’Italia. Si tratta di una vera svolta per i consorzi agrari aderenti a Cai che rappresentano una quota produttiva importante pari a circa l’8% sul totale nazionale, a significare che l’elemento valoriale del no Ogm assume sempre più un ruolo strategico a salvaguardia della qualità e della distintività del Made in Italy”.
L’uso di organismi geneticamente modificati in agricoltura per alcuni studiosi limiterebbe l’utilizzo di veleni tesi a contrastare micotossine e avrebbe quindi una ricaduta positiva sulla nostra salute: concorda?
“Molti Paesi che avevano inizialmente introdotto gli Ogm nella propria agricoltura hanno fatto marcia indietro proprio perché alla prova dei fatti non riducono l’uso di antiparassitari. Lo stesso vale per la lotta alle aflatossine, un problema molto sentito nelle colture di mais della Pianura Padana. Anche in questo caso soluzioni diverse dagli Ogm risultano molto più efficaci”.
Gli organismi geneticamente modificati in agricoltura perseguono un modello di sviluppo all’insegna dell’omologazione: per salvaguardare l’economia degli imprenditori agricoli messi sempre più a dura prova cosa occorre fare a suo parere?
“Le produzioni italiane hanno il primato della sanità e della sicurezza alimentare, con un record del 99 per cento di campioni regolari di frutta, verdura, vino e olio, con residui chimici al di sotto dei limiti di legge. L’Italia ha il maggior numero di imprese biologiche in Europa (quasi cinquantamila) e coltivano oltre 1 milione di ettari di superficie bio. L’agricoltura italiana che ha scelto di non coltivare ogm vanta inoltre la leadership nei prodotti tipici con ben 281 prodotti a denominazioni di origine riconosciute a livello comunitario e 4.886 specialità tradizionali censite dalle regioni, mentre sono 341 i vini a denominazione di origine controllata (Doc), 74 a denominazione di origine controllata e garantita (Docg) e 123 a indicazione geografica tipica (Igt). L’Italia, infine, vanta un paesaggio unico che – conclude Coldiretti – è meta di un crescente flusso turistico negli 871 parchi e aree protette presenti che coprono ben il 10 per cento del territorio nazionale.
Una tendenza confermata dalla crescita dell’agriturismo che può contare su 21mila aziende agricole. E il Paese è anche leader europeo per il turismo enogastronomico, con un movimento annuo di circa 5 milioni di appassionati”.
Quante sono nel carpigiano le imprese agricole? Quanti addetti occupano?
“Le aziende agricole dell’Unione delle Terre d’Argine sono 1.357 (dati Provincia di Modena, 2013) così suddivisi: Carpi 624, Campogalliano 180, Novi 210 e Soliera 343, per un totale di 2.100 addetti”.
Jessica Bianchi