Un mondo di grande complessità, ricchissimo di sfumature e differenze anche assai profonde, che coinvolge un miliardo e ottocento milioni di persone dagli Stati Uniti all’Indonesia. Per questo chiunque parli di Islam come di un blocco monolitico è, nel migliore dei casi in errore, nel peggiore in malafede. Questa la lezione che Farian Sabahi, giornalista, docente e scrittrice di origini iraniane ha tenuto durante l’incontro Islam e democrazia, organizzato lo scorso 14 gennaio in un Auditorium Loria gremito, soprattutto di giovani, nell’ambito della rassegna Mondi arabi, promossa da Biblioteca Loria e Gruppo Fotografico Grandangolo. “Tendiamo a identificare arabi e musulmani – ha spiegato Sabahi – ma in realtà parla arabo soltanto il 15% dei musulmani del pianeta e nei paesi arabi vivono 300 milioni di persone, non tutte di fede musulmana. In realtà tutto il Medio Oriente rappresenta una grande anomalia, un vero e proprio mosaico di popoli e religioni”. Per tentare di decifrare i mondi musulmani occorrono chiavi di lettura diverse: economica, demografica, religiosa e di genere. Il più grande errore che possiamo commettere è quello di intendere l’Islam come un’entità unica e omogenea, e di rifiutare di comprendere, che è cosa diversa dal giustificare, il punto di vista degli attori sul territorio. “Prendiamo la questione del velo – ha continuato la giornalista, stimolata dalle domande del giornalista di Radio Bruno, Pierluigi Senatore – che in Occidente viene spesso sbandierata per parlare di sottomissione della donna musulmana. Io credo che la misura della libertà femminile passi invece dai tassi d’istruzione, che in Iran si stanno rivelando fondamentali per l’emancipazione. Nel mio Paese le ragazze sono molto motivate a raggiungere i titoli di studio più alti, consapevoli di quanto la capacità di mantenersi da sole passi attraverso l’ottenimento di un lavoro per il quale una laurea è necessaria. Per questo il Governo ha dovuto introdurre delle quote azzurre, dato che i maschi faticavano ad accedere alle facoltà più ambite perché puntualmente superati dalle donne”. Il velo non è una forma di sottomissione in sé, occorre considerare se il suo utilizzo è stato scelto liberamente o meno. Anche quando la donna è obbligata a indossarlo però, quell’imposizione rappresenta solo la punta dell’iceberg di una situazione di soprusi molto più grave”. D’altronde, come si può definire la donna musulmana? si è chiesta Sabahi: “ci sono musulmane analfabete, docenti, piloti, medici, ricercatrici. Non esiste un solo modello, a meno di non ricorrere a stereotipi”. Altro tema affrontato nel corso della serata, quello del naufragio delle Primavere arabe, riconducibile in parte agli interessi economici delle potenze occidentali a vendere armi e all’appoggio a regimi ‘alleati’, almeno sulla carta, come l’Arabia Saudita, in parte al vero scontro che agita il Medioriente, ovvero quello tra Arabia Saudita sunnita e Iran sciita. “La complicità del fallimento del vento democratico che ha soffiato nella regione è dell’Occidente – ha concluso Sabahi – che non sempre è attento al rispetto dei diritti umani dei suoi presunti alleati. L’unica soluzione per combattere il Califfato sarebbe quella di un intervento armato nella regione con l’invio di forze di terra, ma dubito fortemente vi sia la volontà politica di farlo. Occorrerebbe anche fare i conti con gli alleati che ci siamo scelti, perché è ora di chiedersi se l’Arabia Saudita e il Qatar siano poi così affidabili. Dovremmo, in generale, essere meno ipocriti, e puntare innanzitutto sul rispetto dei diritti umani, e farlo prima che scoppino le crisi, non dopo, quando è ormai troppo tardi”.
Marcello Marchesini