Più sottile del mal sottile

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Lo sfogo della modella taglia 38 Charli Howard, dopo che la sua agenzia le aveva imposto di dimagrire, perdendo 3 centimetri sui fianchi per continuare a lavorare, ha fatto il giro del mondo. Durissime le parole dell’esile silfide affidate alla Rete: “Mi rifiuto di sentirmi in colpa perché non raggiungo i vostri ridicoli e inottenibili standard di bellezza mentre voi state seduti tutto il giorno alla scrivania, divorando torte e biscotti e criticando me e le mie amiche per il nostro aspetto fisico”. Malgrado gli standard estetici dettati dalla moda siano a dir poco malsani, la realtà che ci circonda è ancor più allarmante. Basti pensare che in Provincia di Modena sono circa 3.500 i pazienti affetti da disturbi alimentari, con un’incidenza di oltre 250 nuovi casi ogni anno (dati 2014). Quanto più la civiltà prospera, tanto più la magrezza diventa sinonimo di bellezza. Eppure si rimane inermi, scioccati, di fronte a un male di vivere tanto potente che porta chi ne é affetto a camminare a braccetto con la morte. Tali patologie dilagano intorno a noi, figlie del disagio profondo di una generazione resa fragile da una società che discrimina tra corpi di serie A e B,  proclamando il culto della perfezione delle forme a tutti i costi. Alla psicologa e psicoterapeuta carpigiana Serena Forghieri chiediamo qualche informazione in più circa questo oscuro mal sottile.
I disturbi alimentari sono in aumento?
“Sì. Negli anni scorsi, quando si parlava di disturbi alimentari tra i giovani si pensava soprattutto ad anoressia e a bulimia. L’anoressia consiste nella progressiva privazione del cibo: si inizia a mangiare sempre meno, fino a sopravvivere con porzioni di alimenti minime, mentre il corpo perde a poco a poco tutto lo strato di grasso e i muscoli. La bulimia è l’opposto: chi ne soffre si riempie di cibo fino a scoppiare, arrivando persino ad alzarsi nel cuore della notte per ingurgitare alimenti crudi o ancora surgelati.  A questi si associa il disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder): questo disturbo spinge il soggetto a compiere grandi abbuffate, in modo veloce e vorace, fino a raggiungere la completa sazietà: è associato a forme di sovrappeso e a un’insorgenza precoce dell’obesità.Tuttavia ad anoressia e bulimia si aggiungono nuove alterazioni del comportamento alimentare:  la disfagia, ovvero la difficoltà a deglutire determinati cibi quando questi non siano percepiti come accettabili. Un problema serio che impedisce di nutrirsi in modo vario, come si dovrebbe fare per crescere sani. Ancora, gli esperti hanno identificato il disturbo emotivo da evitamento del cibo, che spinge soprattutto le ragazzine a trovare scuse per non nutrirsi, la sindrome “mastica e sputa”: si masticano grandi quantità di cibo che poi non viene deglutito; il disturbo da dieta cronica (dieting): caratterizzato da un controllo esasperato del peso e da una costante attenzione alla dieta; l’ortoressia è una forma di attenzione eccessiva alle regole alimentari, si sceglie di alimentarsi solo con cibi che si considerano salutari o dai quali si possono trarre reali o presunti benefici e può essere dovuta alla paura, a volte maniacale, di ingrassare o di non essere in perfetta salute. Vigoressia/bigoressia o dismorfismo muscolare: colpisce prevalentemente i ragazzi e si manifesta quando c’è un’attenzione ossessiva per la forma fisica e lo sviluppo dei muscoli; l’emetofobia: si teme di vomitare o di vedere altri farlo, per questo motivo si mangia meno e si dimagrisce; l’anginofobia: si ha paura di deglutire e rimanere soffocati. Spesso, non viene diagnosticata sino ai 12/13 anni d’età. I soggetti che ne sono afflitti vivono un dramma quotidiano, in particolare, al momento dei pasti. La persona vede nel cibo un nemico e soffre regolarmente di attacchi di panico”.
Qual è il target più colpito?
“Se fino a pochi anni fa i disturbi alimentari erano tipici delle ragazze adolescenti in questi anni ci confrontiamo con la diffusione di questi disturbi anche nei maschi, con l’abbassamento dell’età media di esordio (6 – 8 anni). L’attenzione per il peso e la forma in certi settori dello sport è quasi sovrapponibile a quello dei pazienti affetti da disturbi del comportamento alimentare, con utilizzo di diete rigorose e di strenua attività fisica allo scopo di mantenere il peso nei limiti stabiliti. Per questi sportivi il rischio di sviluppare un disturbo alimentare è legato alla forte pressione dell’ambiente in cui viene praticato lo sport e al desiderio di migliorare continuamente la propria performance e il proprio stato di preparazione fisica. L’eccessivo allenamento, combinato con cattive abitudini alimentari e spesso anche con condotte compensatorie (vomito, diuretici e farmaci anoressizzanti) unito alla crescente diffusione dell’attività sportiva agonistica può avere gravi ripercussioni sulla salute dei ragazzi. Dovrebbe essere raccomandato un atteggiamento attento e responsabile nei riguardi della salute”.
Il fenomeno riguarda sempre più anche i maschi, cosa è cambiato rispetto al passato?
“I disturbi del comportamento alimentare tra i giovani maschi è un fenomeno in netto aumento. L’immagine mediatica del maschio punta soprattutto sulla forma fisica fatta di muscoli a tutti i costi. Ne consegue che spesso la causa di perdita di peso nei maschi anoressici sia l’eccesso di esercizio fisico. Anche per i maschi si evidenziano sentimenti di bassa autostima, disturbi dell’umore, scarsa consapevolezza agli stimoli corporei, deciso bisogno di accettazione sociale, notevoli difficoltà ad affrontare emozioni e sentimenti e problematiche nei rapporti familiari”.
Secondo un recente studio anglosassone la terapia famigliare può rivelarsi vincente in particolar modo nella cura della bulimia. Perché la famiglia riveste un ruolo così decisivo nella guarigione?
“La famiglia, essendo il nucleo primario di sviluppo dell’individuo, ha un ruolo importante nel creare l’ambiente in cui il disagio avvertito dal ragazzo può essere accolto, gestito e affrontato o, in caso contrario, negato, respinto e trascurato. I motivi per cui le famiglie tendono a comportarsi in modi così diversi di fronte al disagio si devono ricercare nella storia familiare, nei ruoli dei diversi membri della famiglia e nelle sofferenze che ciascuno affronta nel suo percorso di vita e dunque anche in questo caso è inopportuno generalizzare e trarre conclusioni affrettate (“è colpa della mamma, perché litiga sempre col padre”). L’utilità di trattamenti rivolti ai familiari ha lo scopo di migliorare le conoscenze relative alla malattia e al suo trattamento e di diminuire il carico familiare, l’eccessivo coinvolgimento emotivo e il criticismo. Le terapie familiari possono aiutare i genitori a capire meglio gli aspetti patologici del comportamento dei figli e possono essere utili a interrompere il circolo vizioso tra criticismo e malattia. L’obiettivo delle terapie familiari non è, come molti credono, la ricerca delle cause della malattia o la colpevolizzazione di uno o più membri della famiglia. Al contrario, ha l’obiettivo di arrivare ad avere dei possibili co-terapeuti all’interno della famiglia. E’ importante che gli obiettivi del trattamento siano condivisi e compresi da tutti i membri della famiglia e che tutti possano sapere quale possibile ruolo possono avere per contribuire al successo del trattamento. Spesso si tratta di compiti apparentemente semplici (come stemperare la tensione al momento dei pasti o limitare il criticismo quando sparisce il cibo dal frigorifero), ma che richiedono un buon controllo delle proprie emozioni e una condivisione del perché sia meglio comportarsi in un determinato modo piuttosto che in un altro”.
Qualora un famigliare o un insegnante si accorgessero di un problema cosa dovrebbero fare?
“L’insegnante che si accorgesse di un problema alimentare di un allievo potrebbe cercare un contatto comunicativo, esprimendogli la propria preoccupazione, informandolo di ciò che ha notato, dimostrandosi disponibile ad ascoltarlo e prendendo poi contatto coi genitori. E’ molto importante cercare di collaborare, mostrandosi disponibili, accoglienti e comprensivi. Il ruolo dei genitori è fondamentale: entrambi possono diventare una preziosa risorsa per la guarigione dei propri figli e il raggiungimento di un maggior benessere psicologico.  Il genitore deve chiedere aiuto a un centro specializzato o a un professionista per ricevere il sostegno e la cura più appropriata, data la complessità e la multifattorialità delle cause”.
Alcuni  suggerimenti  pratici che i  genitori possono mettere in atto?
“Evitare di focalizzarsi esclusivamente sul cibo e sul peso. Anche se questi aspetti sono fonte di forti preoccupazioni, è importante prestare attenzione a vostra figlia nella sua globalità. Non si deve perdere di vista che il disturbo alimentare non è solo un problema di alimentazione ma che a esso sono connesse sofferenza emotiva, scarsa autostima e alte insicurezze psicologiche.
– Cercare di portare avanti la propria vita come genitori e coppia, evitando di impiegare tutte le proprie energie e tempo sulla malattia. Mantenere i propri interessi, gli hobby, il lavoro è necessario per difendere il proprio benessere psicologico.
– Comunicare con le parole e con i gesti la nostra disponibilità all’ascolto e all’aiuto.
– Evitare di imporvi e litigare sulla scelta dei cibi o sul controllo del peso ma cercare di lasciare a lei il controllo di questi aspetti, perché tanto lo farebbe comunque, magari di nascosto.
– Mantenere le vostre abitudini alimentari, soprattutto se avete altri figli.
– Cercare di invitare sempre vostra figlia a mangiare insieme a voi, senza imporvi o insistere”.
Jessica Bianchi

 

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