Schivo per natura, il carpigiano Tommaso Cavazzuti ha infine ceduto e si è reso disponibile a commentare il recente viaggio di Papa Francesco nella sua America Latina, in Ecuador, Bolivia e Paraguay. Dottore in filosofia e teologia, Cavazzuti, gesuita come il pontefice, ha insegnato per 15 anni all’Università cattolica di Salvador, a Bahia, in Brasile.
“Papa Francesco – sostiene Cavazzuti – ha il grande dono di parlare come se si stesse rivolgendo solo a te e, allo stesso tempo, è capace di trasmettere un messaggio che trascende le circostanze di luogo e di tempo e vale per tutti. In questo senso, non potrebbe svolgere meglio il suo ministero universale. D’altra parte i problemi che affronta sono quelli di un mondo globalizzato e riguardano tutti”.
Perché papa Francesco ha scelto di andare proprio in Ecuador, Bolivia e Paraguay?
“Papa Francesco parla soprattutto attraverso i gesti e il suo modo di vivere. La coerenza che chiede a tutti i cristiani la vive in prima persona ed è questo che lo rende vero e credibile. Come pastore che deve annunciare non se stesso ma il Vangelo, in tutte le sue scelte è guidato dai criteri di Cristo. La decisione di visitare la sua America Latina partendo da Ecuador, Bolivia e Paraguay è determinata dagli stessi criteri che lo hanno portato a Lampedusa, Sri Lanka, Filippine, Bosnia e in altre parti: sono Paesi marginali, quasi dimenticati dal resto del mondo, poveri, pieni di conflitti; Paesi in cui sono presenti processi di cambiamento ai quali la Chiesa vuole partecipare testimoniando la forza e la gioia del Vangelo. Papa Francesco parte sempre dai paesi marginali, perché è convinto che il mondo lo si comprende meglio quando lo si vede non dal centro ma dalle periferie. In questo senso, non poteva scegliere un modo migliore per prepararsi al suo viaggio negli Stati Uniti”.
Disagi sociali, povertà e crisi politica sono stati al centro dei messaggi del Papa: oltre che pastore, vuole essere anche un mediatore?
“Né il Papa né la chiesa locale si propongono di assumere un ruolo di mediazione nei conflitti politici e sociali che caratterizzano questi Paesi. Il Papa, in particolare, sa molto bene che non è tanto questo il suo ruolo. Ciò però non vuol dire che non sia cosciente di quanto la Chiesa possa fare per diminuire i conflitti, migliorare le condizioni di vita e creare strutture sociali più umane. Il Vangelo, ha detto, è rivoluzionario, nel senso più vero della parola. Fa sentire la necessità di un cambiamento radicale; ne indica la direzione; offre le forze capaci di realizzarlo. Però, non si sostituisce all’intelligenza dell’uomo e alle strutture politiche e sociali con le quali agisce. Nel bellissimo discorso ai rappresentanti dei movimenti sociali, Papa Francesco riprende il tema della sua ultima enciclica e dice: “Molti si aspettano un cambiamento che li liberi da questa tristezza individualista che rende schiavi. Il tempo sembra che stia per giungere al termine; non è bastato combattere tra di noi, ma siamo arrivati ad accanirci contro la nostra casa. Oggi la comunità scientifica accetta quello che già da molto tempo denunciano gli umili: si stanno producendo danni forse irreversibili all’ecosistema. Si stanno punendo la terra, le comunità e le persone in modo quasi selvaggio. E dopo tanto dolore, tanta morte e distruzione, si sente il tanfo di ciò che Basilio di Cesarea – uno dei primi teologi della Chiesa – chiamava lo “sterco del diavolo”. L’ambizione sfrenata di denaro che domina. Questo è lo “sterco del diavolo”. E il servizio al bene comune passa in secondo piano. Quando il capitale diventa idolo e dirige le scelte degli esseri umani, quando l’avidità di denaro controlla l’intero sistema socioeconomico, rovina la società, condanna l’uomo, lo fa diventare uno schiavo, distrugge la fraternità interumana, spinge popolo contro popolo e, come si vede, minaccia anche questa nostra casa comune, la sorella madre terra.” Dopo di che sprona tutti a chiedersi che cosa ognuno può fare. Non è il leader che dice “dovete fare così”; ma è colui che cerca di risvegliare le capacità presenti in ciascuno. Ricorrendo sempre alla testimonianza del Vangelo”.
Ha fatto discutere il dono di Morales, un crocifisso su falce e martello. Che lettura ne dobbiamo dare? Papa Wojtyla lottò con successo contro quel simbolo per schiodarlo dall’Est Europa…
“Il Papa stesso, nell’intervista sull’aereo di ritorno, lo ha spiegato. Ricordando un principio ermeneutico fondamentale, ha detto che ogni gesto e testo dev’essere letto e interpretato nel contesto. In questo caso concreto, il gesto è il dono fatto dal presidente Morales e il testo è la scultura del crocifisso con falce e martello realizzato negli Anni ‘70 da Padre Espinal. Morales ha insignito il Papa di due onorificenze; una di queste è l’onorificenza Padre Espinal (un gesuita spagnolo, boliviano di adozione, torturato e ucciso nel 1980 dai sicari della dittatura di allora, tre giorni prima dell’assassinio di Mons. Romero, per avere difeso i poveri). Caduta la dittatura militare, Padre Espinal è diventato un eroe nazionale e Papa Francesco ha apprezzato il fatto che il presidente Morales gli abbia voluto offrire qualcosa che ricordava questo suo confratello gesuita. Il crocifisso, poi, disegnato dal padre Espinal risale agli Anni ‘70, quando quasi tutti i Paesi latinoamericani erano oppressi da dittature militari, il cui scopo principale era quello di mantenere i poveri sottomessi agli interessi di un capitalismo, nazionale e transnazionale, veramente selvaggio. In quegli anni, la chiesa latinoamericana, spinta dal Concilio Vaticano II, stava distanziandosi dal potere politico, assumendo il ruolo profetico che le è proprio. In quel contesto, sacerdoti e laici assunsero posizioni diverse. Fondamentalmente tre: alcuni (la maggioranza) continuarono a difendere i valori tradizionali in nome dei quali ritenevano giustificata anche la dittatura militare; altri, a partire dai documenti di Medellin dell’episcopato latino americano, lottavano perché si tornasse alla democrazia e si creassero strutture sociali più giuste e umane. Tra questi, alcuni appellavano semplicemente alla dottrina sociale della chiesa; altri ritenevano che non fosse possibile creare queste strutture nuove senza una lettura più scientifica della realtà socioeconomica e senza una scelta di quei mezzi di lotta che possono renderla efficace. A questo scopo ritenevano che l’analisi sociale di Marx fosse lo strumento migliore per capire e agire sulla realtà latinoamericana. Purtroppo, non sempre l’uso dell’analisi marxista si dimostrò serio. Questo fatto suscitò forti reazioni da parte della chiesa più tradizionalista e da parte del Vaticano. Papa Wojtyla, che proveniva da tutt’altra parte del mondo, ha reagito fortemente: si può ricordare la sua visita in Nicaragua e El Salvador. In America Latina si è sofferto molto per questa posizione di Giovanni Paolo II. Padre Espinal, invece, apparteneva a quei cristiani che per essere efficaci nella loro lotta non rifiutavano il contributo di Marx. Papa Franesco, a quel tempo superiore gesuita, non condivideva la sua posizione; non perché non apprezzasse il suo obiettivo (che condivideva in tutto), ma perché riteneva che in quel modo si poteva rimanere intrappolati nell’ideologia senza la possibilità di vedere bene la realtà. In quegli anni sarebbe stato auspicabile un maggior dialogo, che l’urgenza e la durezza della lotta ha reso molto difficile. A questo riguardo non sarebbe male ricordare i tanti martiri latinoamericani. Quel contesto permettere di leggere con oggettività il crocefisso disegnato da Padre Espinal: esprimeva l’incontro tra le due forze più importanti che in quegli anni lottavano per la liberazione del continente latinoamericno. Per questo il Papa non lo ha disprezzato e se l’è portato con sé”.
Il primo Papa latinoamericano è più sensibile ai problemi dell’America latina che a quelli del resto del pianeta?
“In America Latina, il Papa si trova tra la sua gente e riesce ad avere un contatto umano ancor più caloroso. Il fatto di parlare spagnolo lo rende ancor più spontaneo e comunicativo. Però, Papa Francesco ha il grande dono di parlare come se stesse parlando soltanto a te e, allo stesso tempo, è capace di trasmettere un messaggio che trascende le circostanze di luogo e di tempo e vale per tutti. In questo senso, non potrebbe svolgere meglio il suo ministero universale.
D’altra parte, i problemi che affronta sono quelli di un mondo globalizzato, che riguardano tutti. E’ una pena che il nostro mondo occidentale continui a ritenersi il centro dell’universo e a snobbare i paesi che non raggiungono i livelli di una potenza economica. Anche la nostra chiesa italiana farebbe bene a raccogliere tutte le lezioni che il Papa ci ha dato nel suo lungo viaggio in America latina”.
Sara Gelli