“I giovani hanno bisogno di buoni maestri”

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Dopo il lutto e il dolore per le vittime dei vergognosi e barbari attentati di Parigi, è giunto ora il tempo della riflessione. Se vogliamo spezzare una spirale di odio e intolleranza che minaccia di travolgerci tutti e ridurci a un più basso livello di civiltà, dialogo e comprensione rappresentano l’unica strada percorribile. Ciascuno però, laico o religioso, cristiano, musulmano o ebreo che sia, deve avere il coraggio di partire dal riconoscimento delle proprie responsabilità. Solo così potremo costruire una convivenza in cui sarà finalmente possibile, pur nel rispetto di tutte le differenze, religiose e non, abolire la contrapposizione fra «noi» e «loro». Ed è proprio su questa necessità che insiste il teologo carpigiano Brunetto Salvarani, tra i maggiori esperti di dialogo interreligioso ed ecumenico e docente di Dialogo ebraico – cristiano presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. “Occorre investire nella nostra capacità di ascoltare le ragioni dell’altro, di essere curiosi verso l’alterità. Dovremmo imparare a gestire il conflitto, a superare quelle strutture di pensiero che dividono la società in un noi e in un loro. Oggi dire Occidente vs Islam è un’approssimazione: stabilmente in Occidente vivono comunità di musulmani e, allo stesso tempo, la cultura occidentale è diffusa in quasi tutto il mondo islamico. E’ una partita complicata, ma va giocata: io sono profondamente convinto che la vinceremo, così come la vinceranno tutti  coloro che pensano non ci siano alternative al dialogo, alla valorizzazione della diversità, anche se affermare ciò in questi giorni di lutto pare essere sinonimo di ingenuità. In realtà, la storia di questi anni ci dice che ingenuo è stato chi ha pensato di risolvere il problema del terrorismo attraverso la guerra. Nel 2001, l’unico che disse no a una risposta militare fu Giovanni Paolo II, insieme al movimento pacifista: una voce fuori dal coro che purtroppo non fu capace di evitare l’invasione di Afghanistan e Iraq, azione che ha fortemente incentivato risentimento e rancore. Io sono speranzoso e ottimista e confido nei giovani, poiché questi, scevri da ogni ideologia, possono elaborare strategie di incontro più friendly, più semplici e meno paludate delle nostre”.
La scuola dovrebbe avere un ruolo fondamentale per educare al dialogo interreligioso e al pluralismo religioso. In realtà, come la cronaca ci insegna, è evidente come siano le seconde generazioni nate e cresciute in Occidente a rischiare di entrare in una profonda crisi di identità e ad aderire poi a frange jihadiste. Quali errori sta commettendo secondo lei la scuola in primis e l’Occidente in generale?
“Sono convinto che di fronte a fatti drammatici come quelli di Parigi e quelli che stiamo purtroppo registrando quotidianamente, non si possa rispondere con meno dialogo, minore educazione e meno cultura, bensì il contrario. Occorre favorire e promuovere un’educazione alla bellezza, all’inclusione… A mio parere la globalizzazione è finora un fenomeno economico – finanziario non accompagnato da un pensiero, da una parallela globalizzazione delle culture: non siamo attrezzati a capire le ragioni dell’altro, a vivere l’empatia. In tal senso il ruolo della scuola è fondamentale anche se non butterei la croce sugli insegnanti i quali, spesso, in questi anni, sono stati gli avamposti di un faticoso e complicato incontro quotidiano con bambini e ragazzini di origine straniera. Il problema è ben più vasto e viene da molto più lontano. La responsabilità è di una politica che non capisce, salvo rare eccezioni, l’Islam e non comprende la necessità di investire in un’educazione interculturale, alle religioni. E’ questa la scommessa sulla quale si gioca il futuro del nostro Paese: e non solo. La politica italiana ha scelto di guardare altrove, di non investire nella formazione e nella cultura. La responsabilità, però, è anche dei media, i quali hanno scelto di raccontare l’eccezione e la diversità come un problema. In realtà, nonostante le difficoltà e i problemi, in tutte le nostre città, vi è un significativo bosco che cresce, di relazioni interreligiose e interculturali. Peccato che la quotidianità non faccia notizia! Infine, francamente, ammetto che una responsabilità ce l’hanno anche le comunità di fede. Sempre più spesso, le religioni pare siano state colpite da un virus che ha impedito loro di collaborare, nella disperata ricerca di difendere la propria identità”.
Quanto la secolarizzazione crescente del nostro Paese contribuisce alla nascita di venti jihadisti in Italia? Come è possibile che giovani italiani si convertano all’Islam (basti pensare a Maria Giulia Sergio originaria di Torre del Greco che fa parte dei 53 combattenti italiani che hanno sposato la jihad) e inneggino all’imposizione della sharia o alla costituzione di un califfato mondiale sotto l’egida di Al Qaeda?
“La questione è grave e complicata ma, anche se il fenomeno riguarda numeri limitati, credo esiga una riflessione profonda. Le ragioni che spingono questi giovani sono numerose, ma credo che centrale sia la ricerca di senso. Oggi più che mai le giovani generazioni faticano a trovare risposte: venuti dopo la fine dei Grandi Racconti, delle ideologie, i ragazzi hanno bisogno di dare un significato al fatto di essere al mondo. Non hanno bisogno di raccomandazioni o chiacchiere, bensì di testimonianza, di qualcuno che li spinga ad avere fiducia nella vita (chi lo sta facendo, è evidente, è Papa Francesco). Paradossalmente, drammaticamente, questi giovani jihadisti nostrani trovano in quel mondo dei maestri, cattivi certo, ma pur sempre maestri, in grado di aiutarli a interrogarsi sul senso della vita. Insegnamenti che, evidentemente, fanno breccia in questi giovani, spingendoli ad abbandonare tutto e a dedicarsi a una vita che, molto spesso, sconfina in una morte drammatica. E’ un grande problema: abbiamo abbandonato le scuole a loro stesse, abbiamo evitato di riflettere in maniera approfondita sulla situazione di questi giovani spaesati e confusi, gettati in un mondo che sfugge anche a chi è dotato di molti più strumenti culturali e maggiore esperienza e loro trovano in quella cultura una testimonianza forte che fornisce loro senso all’esistenza”.
Crede che l’integrazione o, come preferisce chiamarla lei, l’interazione, sia davvero possibile o sia al contrario una chimera irraggiungibile?
“Malgrado da anni siamo costretti a fare i conti con una terribile retorica sullo scontro di civiltà e una fortissima strumentalizzazione politica da parte dei partiti basata sulla paura, l’interazione in buona parte c’è già, nei nostri luoghi di lavoro, nelle scuole, nei centri di aggregazione… Il dialogo tra culture differenti nella vita quotidiana è imprescindibile: ciascuno di noi è chiamato a vivere e a sperimentare quello che amo definire un dialogo del vicinato. Quotidiano. Certo non sempre è facile. Se investissimo e puntassimo davvero sull’interazione, potremmo davvero fare passi giganteschi. Purtroppo, dopo l’11 settembre 2001, non abbiamo capito che su questo tema si sarebbe giocato il nostro futuro. Nonostante il crescente fondamentalismo e la chiusura di quasi tutte le religioni, ultimi scenari di senso dopo la fine dei Grandi Racconti ideologici, non abbiano contribuito a una reale interazione, non assistiamo certo ad attentati quotidiani bensì a una convivenza pacifica, seppur faticosa e complessa. Ciò che secondo me non abbiamo capito fino in fondo è che non siamo di fronte a uno scontro di civiltà, bensì a ciò che nella tradizione islamica viene definita Fitna ovvero lo scontro fratricida per l’egemonia della comunità musulmana.  L’obiettivo reale dei terroristi di Parigi non è Charlie Hebdo, non sono i cristiani in Siria, ma quell’Islam che dialoga e si confronta con la cultura occidentale, l’Islam che inizia a concepire la possibilità di una convivenza multireligiosa, quell’Islam che si sta allenando a considerare il principio di laicità come fondamentale. Laicità che non significa laicismo, bensì la valorizzazione delle religioni – tutte – e del loro diritto a stare nello spazio pubblico. Ancora oggi in Europa è protagonista una sorta di confronto/scontro tra fondamentalisti (al plurale) e laicisti, ovvero tra coloro che pensano che la religione rappresenti tutto e sia necessario armarsi contro chi non la pensa allo stesso modo e chi, al contrario, afferma che le religioni debbano stare fuori dallo spazio pubblico e abitare solo lo spazio della coscienza personale. E’ indispensabile e urgente elaborare un nuovo concetto di laicità, una laicità di addizione e intelligenza, capace di accogliere le diversità: viviamo in una fase storica post-secolare, nella quale la secolarizzazione convive con il pluralismo religioso ed è la prima volta che ci confrontiamo con tale complessità. Occorre rimboccarsi le maniche e mettersi a lavorare”.
Molti politici stanno cavalcando gli attentati parigini per dire basta a operazioni come Mare Nostrum affermando che tra quei profughi potrebbero celarsi terroristi. Come giudica la politica sull’immigrazione italiana?
“Il nostro Paese si è sempre approcciato all’immigrazione come se si trattasse di un fenomeno transitorio che doveva durare lo spazio di un mattino. A parte fronteggiare le emergenze sbarchi, l’Italia non ha elaborato un modello proprio di gestione strategica e sul lungo periodo. D’altronde, questa politica lacunosa è figlia di una stagione complessa, durante la quale l’azione politica è stata totalmente asservita alla mera questione economico-finanziaria. Per fortuna sui territori operano la Caritas e varie organizzazioni che tentano ogni giorno di dare risposte, laddove la politica latita. Sappiamo che numerosi profughi sbarcano nel nostro Paese per poi raggiungere la Francia, la Germania, la Scandinavia… la loro gestione dovrebbe quindi essere non solo una questione italiana ma europea. Ma soprattutto occorrerebbe affrontare il tema sul piano politico e culturale: mi auguro si cominci finalmente a farlo…”.
Jessica Bianchi

 

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