Asili nido: quale futuro?

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I dati statistici sono utili a una migliore comprensione della realtà e servono a disegnare possibili scenari futuri: è così anche per quelli relativi alla scuola. Sebbene siano solo numeri quelli contenuti nel rapporto sull’anno scolastico 2014-2015, rapportati a quelli dei dieci anni precedenti, disegnano una realtà che si è evoluta ed è profondamente cambiata.
La questione più rilevante oggi riguarda gli asili nido: profezie apocalittiche ne disegnano il rischio d’estinzione ma amministratori e tecnici sono già in trincea per difendere questi baluardi del sistema educativo: i pochi bambini che nascono mettono in crisi un sistema costruito negli anni per rispondere alla richiesta delle famiglie di un progetto per la fascia d’età 0-3 anni. La crisi ha inciso in questi anni modificando le necessità delle famiglie. Non esiste nemmeno più il problema delle liste d’attesa, anzi calano le domande: erano 541 nell’anno scolastico 2010/11 (di cui 456 accolte), sono calate a 371 per l’anno 2014/15, tutte accolte. Chi è rimasto senza lavoro preferisce provvedere direttamente all’accudimento dei figli nei primi anni di vita evitando di pagare la retta del nido ma rinunciando alla proposta pedagogica che solo il servizio è in grado di offrire.
“Il risultato – commenta a malincuore l’assessore all’Istruzione Stefania Gasparini – è un isolamento dei bimbi e di chi li accudisce all’interno delle mura di casa”. I bambini iscritti all’asilo nido oggi rappresentano il 36% dei bimbi  residenti: il restante 64% è, per diversi motivi, accudito a casa. La percentuale di chi ha chiesto di usufruire del servizio è rimasta più o meno stabile rispetto agli anni precedenti: ciò che è diventato determinante è il progressivo calo delle nascite che nemmeno gli stranieri sono più in grado di arrestare: a Carpi sono stati 764 i bambini nati nel 2010, 672 nel 2011, 639 nel 2012, 615 nel 2013 e solo 575 nel 2014.
Considerando che una percentuale pari al 36% chiederà di usufruire del servizio di asilo nido, saranno in tutto 207 le domande per l’iscizione di nuovi bimbi che si aggiungeranno ai 252 piccoli che già frequentano il nido nelle sezioni piccoli e medi per un totale di 459 bambini. Cento in meno rispetto alla popolazione che attualmente frequenta il servizio. Duecento in meno rispetto a quattro anni fa. I numeri possono svelare profezie ma in Comune non intendono fasciarsi la testa prima di averla rotta: aprire le iscrizioni a bambini di quattro mesi, favorire la mobilità interna fra i Comuni di Carpi, Novi, Soliera e Campogalliano e allargare il bacino a bambini non residenti nell’Unione è sicuramente servito. “Non si chiude nulla, proviamo a tenere” afferma l’assessore Gasparini. La parola tagli in Comune non la vogliono nemmeno sentir pronunciare perché poi non c’è più modo di tornare indietro per recuperare ciò che si è perso. Si procederà rivedendo il numero di bambini per sezione ma non diminuiranno le sezioni e, se necessario, calerà il numero dei posti in convenzione con i privati messi a bando dal Comune.
Nonostante sia senza dubbio uno dei servizi più costosi per i Comuni per il fatto che le rette coprono solo il 27% circa del costo, per la restante parte a carico delle casse comunali, le rette, che sono tra le più basse in Regione, non subiranno aumenti: la minima resterà di 78 euro e la retta massima di 470 euro.
“Tenuta dei servizi e della loro qualità: questo – spiega la Gasparini – resta l’obiettivo dell’Amministrazione che procederà a un’indagine per verificare le nuove esigenze delle famiglie e individuare quali siano i bisogni emergenti”. Si rinuncia al nido per una questione economica o perché il servizio inteso in modo tradizionale non risponde più alle richieste delle famiglie? A fronte del successo dello Scubidù, dove chi accudisce i bambini si può recare per trascorrere qualche ora all’interno del centro giochi, occorre ripensare i servizi 0-3 anni? Per la Gasparini non si può ridurre tutto a una questione di tagli “cominciando con l’eliminazione della merenda delle nove del mattino e del pomeriggio, come hanno fatto altre province, perché rinunciare a un progetto educativo che coinvolga le famiglie di bambini in quella fascia d’età significa lasciarle sole fra le mura di casa. La rete sociale si costruisce invece favorendo le relazioni e contrastando la disgregazione”.
Il settore Istruzione del Comune è già al lavoro ma “occorre che la Regione riconosca il problema e ci dia una mano a risolverlo” dice la Gasparini.
Sara Gelli
 

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