Cresce in città il fenomeno del gioco d’azzardo

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Da poche settimane ha aperto i battenti in via Berengario, a pochi passi dalla Scuola A. Pio e da San Nicolò, la nuova sala per scommesse sportive della catena GoldBet Sport: insieme alla sala slot di via Nicolò Biondo salgono i luoghi che, nel cuore di Carpi, sono dedicati al gioco d’azzardo. Secondo gli ultimi dati le sale scommesse sarebbero diciannove (di cui 10 fiorite negli ultimi 5 anni), 162 i bar al cui interno sono collocati videopoker (ma il dato risale al 2011, anno a partire dal quale questi pubblici esercizi non devono più comunicare tale dato all’ente locale) e due sale giochi senza vincite in denaro. Dal conteggio restano fuori le tabaccherie dove slot e lotterie istantanee proliferano. Certo, nel locale di via Berengario non trovano spazio slot e videopoker, e i minorenni non sono ammessi, come in tutti gli altri spazi dedicati al gioco d’azzardo. E resta naturalmente inteso che i locali che hanno avuto l’autorizzazione ad aprire rispettano la vigente normativa. Tuttavia, il dato che registra un proliferare di questo tipo di esercizi commerciali a fronte di una crisi economica che perdura da anni dovrebbe interrogare le istituzioni. Se è vero che gli enti locali, sul tema, hanno scarsissimi poteri di intervento (essendo venuto meno anche l’obbligo di una distanza minima di queste sale dalle scuole e dagli edifici di culto) è altrettanto vero che, d’altra parte, sono sempre più numerosi i comuni che, in Italia, si stanno muovendo per tentare di porre un freno all’esplosione del gioco d’azzardo, chi attraverso gli orari di apertura chi, come avvenuto a Soliera, con incentivi ai bar che scelgono di togliere i videopoker, o che si impegnano a non farli entrare. D’altra parte è pur vero che, in generale, il mondo dell’azzardo si trova spesso a contatto con ambienti legati alla criminalità organizzata. Prova regina, se mai qualcuno ancora non lo sapesse, è il processo Black Monkey, in corso a Bologna, dal quale sta emergendo un quadro a tinte fosche rispetto al tema del gioco e degli affari dei clan della Camorra.  Spesso chi, come i membri di Non giocarti il futuro! – la rete di contrasto al dilagare del gioco d’azzardo nata a Carpi la quale raccoglie, oltre a singoli cittadini, molte sigle del volontariato e dell’associazionismo come Libera, Federconsumatori e Fondazione Casa del Volontariato – invita a non prendere il fenomeno sottogamba, si sente rispondere che, se non si vogliono perdere soldi nelle scommesse o restare vittima del Gioco d’Azzardo Patologico è sufficiente non andare nei luoghi deputati. Facile a dirsi per coloro che, in possesso di strumenti culturali e reti sociali adatte possono, del brivido dell’azzardo, fare tranquillamente a meno (pur dimostrando le statistiche che nessuna categoria è immune). Ma che dire degli anziani, spesso soli, degli over 50 magari disoccupati o con un lavoro precario e insoddisfacente, degli immigrati non ancora integrati, dei neo-maggiorenni cresciuti in ambienti che non li hanno dotati dei necessari anticorpi? Anche per tutte queste categorie ‘a rischio’ si tratta, veramente, di libera scelta? La risposta non può che essere, dal punto di vista formale, affermativa. Nella sostanza, però, laddove albergano prospettive di un futuro non proprio luminoso e, forse, una sotterranea disperazione, le cose sono un po’ più complesse di come qualcuno vorrebbe dipingerle. A tal proposito viene da chiedersi se basti rispondere, come qualcuno fa, che “serve una battaglia culturale”. Per le battaglie culturali occorrono anni, quando non decenni, e nel frattempo le fasce fragili continuano a subire il fenomeno. Se di certo la soluzione non può – e non deve essere – quella del proibizionismo, non fosse altro per il fatto che, storicamente, non è mai servito a raggiungere gli obiettivi che si è di volta in volta prefisso, invocare dall’altro il libero arbitrio facendo finta che il problema non esista, significherebbe mettere la testa sotto la sabbia. Voltare la faccia dall’altra parte, per non vedere che, giocando d’azzardo, c’è chi ci perde, in un certo senso, tutta una vita. E’ di questi giorni la notizia dei controlli delle Forze dell’Ordine presso la Sala scommesse di via Berengario: sarebbe emerso che il gestore non aveva la licenza della Polizia, necessaria per gestire le scommesse. Tutto lecito per il titolare che ha fatto riferimento a quanto stabilito dai Tribunali italiani in precedenti, analoghi dibattimenti.
In ogni caso, il gioco d’azzardo sembra ormai entrato a far parte della quotidianità degli italiani al punto tale che l’Istat ha deciso di inserirne i proventi, indicati come ‘consumo culturale’, nel proprio paniere per determinare il Pil. A riprova del fatto che, a un aumento del Prodotto Interno Lordo, non equivale un analogo incremento del Benessere Interno Netto.
Marcello Marchesini
 

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