Una vita a stelle e strisce

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E’ riuscito ad attribuire a una proteina della membrana cellulare la sua effettiva funzione fino ad allora sconosciuta: la difficoltà maggiore è quella di spiegare in modo comprensibile ai non addetti ai lavori e in italiano il risultato di questa ricerca durata più di sei anni. “Studiando i singoli componenti della cellula, in particolare della membrana cellulare, e analizzando una proteina che pensavamo avesse tutt’altra funzione – spiega il carpigiano Mattia Malvezzi, ricercatore presso il Weill Cornell Medical College, il centro di ricerca collegato al New York Presbyterian Hospital – abbiamo capito che, in realtà, era responsabile di uno dei meccanismi di coagulazione del sangue”. Un traguardo scientifico importante, soprattutto in relazione a una malattia rara, costato anni di ricerca e sacrifici, di cui Mattia Malvezzi è particolarmente soddisfatto. La pubblicazione dell’articolo Ca⁺² – dependent phospholipid scrambling by a reconstituted TMEM16 ion channel sulla rivista di settore Nature Communications testimonia l’importanza degli studi di Mattia Malvezzi. Si trova a Carpi in questo periodo per il matrimonio di un amico, ma “di solito torno solo a Natale”. A 24 anni è partito per gli Stati Uniti dopo aver frequentato l’indirizzo tecnologico del Liceo scientifico M. Fanti e la facoltà di Biotecnologie presso l’Università di Modena. “Conseguita la laurea nell’ottobre del 2007, non ho cercato immediatamente lavoro perché volevo tentare la strada del Ph.D, il dottorato di ricerca: ho  contattato il mio attuale ‘capo’, il professor Alessio Accardi, per propormi per un’esperienza negli Stati Uniti”. Era il gennaio del 2008: Mattia Malvezzi, approdato nell’Iowa, cominciava le sue ricerche sui componenti della membrana cellulare presso il laboratorio dell’Università dell’Iowa. “Dopo aver frequentato un corso di inglese per capire cosa mi dicevano, tutto è andato per il meglio e in quei due anni sono stato benissimo. L’idea di essere partito molto giovane appartiene agli standard italiani, all’estero non è così e gli americani, terminati gli studi superiori, si trasferiscono in altre parti degli Stati Uniti per frequentare l’Università”. Dopo aver superato selezioni particolarmente dure, Mattia Malvezzi ha ottenuto di poter iniziare il percorso del Ph.D. “I meccanismi per ottenere il Ph.D sono molto diversi rispetto a quelli italiani: negli Stati Uniti è un sistema quasi totalmente meritocratico a regolare l’assegnazione dei dottorati agli studenti e delle cattedre ai professori, per mantenere l’incarico, devono continuare a fare pubblicazioni e reperire fondi. In Italia la cattedra, una volta ottenuta, non te la toglie nessuno e chi tenta la strada del Ph.D incontra mille ostacoli. L’Università italiana resta una delle migliori mentre nel percorso post universitario altri Paesi più del nostro investono in tecnologia, ricerca e sviluppo. Nessuno viene dall’estero a fare un Ph.D in Italia”. Poche settimane  dopo aver iniziato il Ph.D, “il mio capo mi ha proposto di seguirlo a New York. Ho detto subito di sì. Il Weill Cornell Medical College è uno dei migliori centri di ricerca degli Stati Uniti, e quindi del mondo. Sono lì ormai da quattro anni e mezzo”. Nel laboratorio si fa ricerca di base, non ricerca clinica finalizzata allo studio di un farmaco, di una cura o di un dispositivo medico: Malvezzi ci spiega che si occupa “dello studio più in generale, di cos’è, cosa fa e come funziona un singolo componente cellulare e perché, quando non funziona, si registra tutta una serie di problemi”. Per arrivare all’individuazione dell’esatta funzione di quella proteina, ha inserito del dna in un lievito per produrre in quantità abnorme questa proteina.  “Non ci sono orari di lavoro e non si timbrano cartellini. Se devo ultimare uno studio resto in laboratorio anche quindici ore. Se non posso sospendere quello che sto facendo resto anche il sabato e la domenica. Oppure  esco per prendere l’aperitivo con gli amici e poi rientro al lavoro”.
Vive a Manhattan, in uno dei più bei quartieri di New York, e il suo appartamento dista poco dall’ospedale. “Mi muovo a piedi o in metropolitana, sono international per quel che riguarda il cibo ma non mangio indiano e ho un sacco di amici, tantissimi italiani”. Ci sono altri due centri di ricerca vicino al suo e, “talvolta, capita di vedere un Premio Nobel”. Internet consente a Mattia di rimanere costantemente in contatto con famiglia e amici e la cultura americana ha aspetti che apprezza ma gli manca il ‘fuori dalle righe’ tutto italiano che consente di vivere in modo meno opprimente. “Il clima invece è simile e coi condizionatori a balla, New York diventa caldissima. Anche là – sorride – non ci sono più le mezze stagioni”.
Sara Gelli
 

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