C’era una volta e ci sono ancora i depositi di biciclette. In Corso Fanti, a pochi metri dal Duomo, c’è una bottega dove passato e presente convivono: L’A.bi.ci, l’unica ciclofficina a Carpi che offre anche il deposito protetto per le bici come era consuetudine un tempo. “Fino agli Anni Sessanta – racconta Tiziano Ligabue, ex imprenditore prossimo alla pensione che ha deciso di riportare in vita questo antico mestiere – tutte le stazioni dei mezzi pubblici avevano il proprio deposito di biciclette, dove per 15 lire o poco più, si lasciava in custodia per qualche ora il proprio velocipede. Si poteva andare al lavoro o a fare commissioni a cuor leggero, sapendo che c’era qualcuno che si prendeva cura della propria due ruote mettendola a riparo da furti e intemperie.
Poi, tutto a un tratto, i depositi sono scomparsi, e con essi anche un pezzo della nostra storia, perché questi non erano soltanto un servizio per la comunità, bensì un luogo dove scambiarsi esperienze. Si creava poi un legame di stretta fiducia con chi prendeva in custodia le bici che, in quegli anni, per gran parte della popolazione, costituivano l’unico mezzo a disposizione per spostarsi. Doveva tornare a esserci un posto così, quindi, dopo 30 anni nel settore dell’elettronica, ho realizzato il mio sogno da bambino aprendo questa attività di riparazione, restauro e deposito di biciclette”.
Brillano gli occhi nel vedere all’interno dell’officina una Umberto Dei degli Anni Cinquanta tirata a lucido, delle Bianchi originali dell’epoca, una bici con parafanghi avvolgenti e un’altra con l’opzione a scatto fisso create dallo stesso Ligabue. I commenti dei passanti non si contano tra gli “a m’arcord” dei più anziani, e lo stupore di giovani e bambini.
“La gente è incuriosita dal mio negozio. Si ferma stupita, osserva e, spesso, entra per farmi i complimenti. Per me è una grande soddisfazione suscitare queste emozioni”. Il deposito è accessibile tutti i giorni e per usufruirne basta ritirare un badge numerato al costo di un euro da ripresentare al ritiro della bici, proprio come funzionava una volta, e questa non è l’unica tradizione rimasta intatta. Infatti, nella ciclofficina di Tiziano Ligabue tutto evoca il passato, dalla sua divisa da lavoro con grembiule e manicotti al suo modo di riparare le biciclette tenendole impiccate per il manubrio e la sella, dal magazzino senza scaffali ma con i copertoni e gli altri strumenti appesi al muro, ai numerosi oggetti d’antiquariato che arredano il locale come la vecchia sedia da barbiere, il cavallo a dondolo e il monopattino. Quante cose che si ricordano o si scoprono, a seconda dell’età, parlando con Ligabue: “come era bello da bambini fissare una cartolina con una molletta da bucato nella forcella della ruota e pedalare con in sottofondo l’effetto sonoro roboante che produceva tra i raggi. Era qualcosa di magico. La bicicletta è un oggetto che non passerà mai di moda e il ritorno agli antichi mestieri è la vera novità. La valorizzazione dei lavori artigianali di un tempo come quello del calzolaio, dell’arrotino o appunto del ciclomeccanico fungerebbe da fucina per la crescita occupazionale per molti giovani che non trovano lavoro e riqualificherebbe sotto il profilo economico-culturale molte zone del nostro Paese. Dal passato si possono recuperare tante cose buone”.
Chiara Sorrentino