Per loro l’emergenza terremoto non è finita e non sanno quando cesserà. Non lo sa nessuno perché i tempi della ricostruzione rischiano di essere lunghi, anzi lunghissimi. Sono gli abitanti dei MAP, i moduli abitativi provvisori, del Comune di Novi, i quali si apprestano a trascorrere il secondo Natale fuori casa, il primo nei container, dove sono entrati lo scorso gennaio. In via delle Imprese ve ne sono una quarantina e ospitano varie situazioni abitative e diverse etnie. “Tutto sommato qui non si sta male. Certo i problemi non mancano – commenta la signora Vilma, che nel modulo abita col marito – ma, almeno, abbiamo un tetto sopra la testa. Però quando penso al mio appartamento mi sale la disperazione”. A Vilma trema la voce e al marito Giorgio vengono le lacrime agli occhi: “chissà quanto tempo ci vorrà ancora per riavere la nostra casa. Prima di quei terribili giorni abitavamo in via Enrico Fermi, in centro a Novi. Il progetto è pronto, ma è tutto bloccato. La burocrazia sta rallentando la ricostruzione. E poi dobbiamo anche leggere le dichiarazioni dell’assessore regionale, Gian Carlo Muzzarelli, che ha definito i terremotati dei container “furbetti” perché ci sarebbe, e uso il condizionale, chi vende i mobili o chi prende affitti sottobanco. Che faccia nomi e cognomi! E coloro che si son resi responsabili di simili azioni vengano puniti, allontanati. Ma non è giusto fare di tutta l’erba un fascio. Noi terremotati non ci meritiamo anche questo. Che venga Muzzarelli a vedere come si vive qui nei moduli. Nessuno, né lui, né il presidente della Regione, Vasco Errani, e nemmeno il sindaco, Luisa Turci, sono venuti a trovarci. Solo il parroco, Don Ivano, è venuto qui per benedire le nostre dimore provvisorie. Con questo non voglio dire che le istituzioni, Comune e Regione, non ci abbiano aiutato durante e dopo il sisma, anzi. Non smetterò mai di ringraziare gli uomini della Protezione Civile e i Vigili del Fuoco. L’albero di Natale? Sì qualcosa faremo, ma rivorrei la mia casa, il nostro paese, la nostra Emilia. Il malessere è tanto”. “Per gli amici e i parenti che non hanno perso le loro case – racconta Rita – l’emergenza è passata. Il sisma è stato per tutti un incubo ma per tanti è già un ricordo. Per loro è tornata la normalità. Per noi no. Per noi è il presente, la nostra quotidianità. La gente che non lo vive sulla propria pelle non può capire. Pensa che anche se siamo ancora in un modulo abitativo, ormai le difficoltà siano passate”. Rita si trova nel container con la propria famiglia, il marito e due figlie, e mentre racconta cosa significhi vivere qui ormai da quasi un anno, non perde mai il sorriso, chiara espressione di tutta la forza di un’Emilia che, seppur ferita, continua a stringere i denti e non vuole arrendersi. “Male non si sta ma dev’essere una situazione temporanea. Non posso pensare di vivere qui ancora a lungo. Mi sono già data un tempo massimo, due anni e mezzo. Poi, se il nostro appartamento, che si trova in una palazzina di via Gramsci, non sarà ancora pronto, opteremo per soluzioni alternative. E’ la burocrazia a preoccuparmi, temo che i tempi saranno lunghissimi. Tra l’altro esiste un’ordinanza che penalizza i proprietari delle abitazioni ora inagibili perché se questi volessero uscire dal modulo e andare in affitto non riceverebbero più il CAS (contributo autonoma sistemazione) che viene invece garantito a chi anche prima era in affitto. Una situazione che ha dell’assurdo, ma è così. In giornate fredde e secche come questa si sta bene ma, quando piove, si forma condensa ovunque ed essendo di lamiera, d’estate si muore dal caldo per cui devi utilizzare continuamente i condizionatori. E poi c’è il problema degli spazi e della privacy, che qui è sparita completamente. Queste pareti non tengono nulla. Da un modulo all’altro si sente tutto, anche quando la gente russa. E poi c’è chi tiene la musica alta, si sentono i bambini che giocano, insomma sembra di essere in un grande campeggio e ci vuole tolleranza. Io personalmente non ho alcun problema coi vicini, anzi. Una cosa che mi dà particolarmente fastidio è che benché abbiano consegnato i moduli in relazione al numero dei compenti della famiglia, (i MAP da 60 metri andavano alle famiglie con 4 componenti), qui a Novi ci sono container di 60 metri con all’interno un’unica persona, e una famiglia con quattro persone a cui hanno assegnato 75 metri. Perché? Inoltre stiamo aspettando le bollette dell’Enel e sappiamo già che saranno salatissime. Il Natale? Qui, inutile negarlo, sarà un Natale un po’ a metà. Comprerò un alberello da mettere su un mobile. Ma il mio albero, il mio presepe e tutte le altre decorazioni rimangono in magazzino. Ho già acquistato degli adesivi coi quali decorerò le finestre del container”. “Noi addobberemo l’albero fuori, davanti al modulo, con le palline, ma ciò che conta – aggiunge Carmen – è che trascorreremo il Natale tutti insieme. La mia famiglia è unita ed è questa la cosa importante. Almeno sei anni, ci hanno detto così. Che dovremo rimanere fuori tutto questo tempo perché la nostra casa in Corso Marconi è da ricostruire”. Carmen, 22 anni, abita nel modulo insieme ai genitori e al fratello. “Non mi piace vivere qui, non è casa mia. Il container è piccolo, appena 60 metri per quattro adulti. Ognuno avrebbe bisogno dei suoi spazi. Inoltre siamo lontani dalla Piazza. Ora per andare in centro devi prendere la macchina o la bicicletta e, soprattutto, quando fa buio, la strada che porta al paese è molto pericolosa. Per non parlare delle bollette Enel. A noi sono già arrivate e sono salate. Ne ho parlato con mio padre, ma in affitto non possiamo andare, costerebbe il doppio. Lavora solo lui e non possiamo permetterci altro”. E’ dura, molto dura, vivere così, in una situazione abitativa precaria, senza sapere quando tutto questo finirà e quando si potrà ritornare nelle proprie abitazioni. Perché la casa non è solo un bene, bensì un nido. Il focolare in cui trovare rifugio e un’intimità familiare qui così difficili da ricreare.
Federica Boccaletti