Da Santa Croce alla Grande Mela

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Il primo ricordo? “Il vento freddo che mi graffia la faccia”. E il secondo? “Il calore della gente. La Maratona di New York ha qualcosa di speciale che ti cambia la vita. La città ti porta per mano, miglio dopo miglio. Grida il tuo nome. Fa il tifo per te fino alla fine. E’ davvero un’emozione straordinaria. Indicibile”. Il carpigiano 38enne Massimo Fontanarosa, di rientro dalla Grande Mela, porta ancora stampata in faccia la gioia di aver realizzato un sogno.
“Sono atterrato nella metropoli, lo scorso 30 ottobre, insieme a un gruppo di circa 200 persone, grazie a Ovunque Running, agenzia modenese specializzata nell’organizzare la partecipazione alle più grandi maratone al mondo. L’accoglienza è stata strepitosa: gli americani amano l’Italia e rispettano la nostra creatività, il nostro estro, quel saper fare tipico del Bel Paese. Mi sono davvero sentito a casa”. Dopo aver accolto la sfida di Berlino, nel 2010, “la mia prima avventura internazionale – sorride Massimo – ho sentito il richiamo della Grande Mela e ne sono entusiasta. Il tifo è avvincente, ti carica, dall’inizio alla fine. Il vero vincitore della maratona è la città stessa. Viva. Pulsante. La Grande Mela, per un giorno, sembra lì solo per te. Due milioni e mezzo di persone che ti incitano, ti riempiono il cuore di felicità. Non ho mai dato tanti cinque in vita mia. Gli spettatori sono parte integrante della competizione”. E di calore, perché il freddo pungente si è fatto sentire: “c’erano solo 5 gradi, un freddo terribile. Domenica 3 novembre, alle 5,30 del mattino, i pullman ci hanno portati a Staten Island per sottoporci a scrupolosi controlli, soprattutto dopo quanto accaduto a Boston, al fine di garantire la massima sicurezza. Sono rimasto pressoché in mutande fino alle 9,45: quando la maratona è partita, ero congelato. Davanti a me c’era un vecchietto a torso nudo, gli ho chiesto come ci riuscisse. Il segreto? Corri che ti passa…”. Massimo si è così messo alla prova e, insieme ad altre 51mila persone, ha provato l’ebbrezza di percorrere i 42 km e 195 metri che portano da Staten Island a Central Park attraverso Brooklyn, Queens, Bronx e Manhattan. “Finalmente anch’io sono stato parte di una delle scene più epiche e maestose della maratona newyorkese: l’attraversata del ponte di Verrazano – Narrows. Che meraviglia”. Massimo ha chiuso la gara in 3 ore, 31 minuti e 53 secondi, piazzandosi 4° tra i partecipanti della Provincia di Modena e guadagnando il 5.040° posto sui 50.750 podisti: “ho sempre corso sorridendo poi, però quando arrivi a Central Park e la fine è lì, vicina, a portata di mano, ti sciogli in lacrime, perchè l’orgoglio di avercela fatta è incontenibile”. Ad accompagnarlo, sulla pettorina, Massimo aveva una coccarda blu per ricordare le vittime di Boston e lo stemma con le quattro teste di moro, simbolo del popolo sardo, rimastogli nel cuore dopo il servizio militare sull’isola (“perché ogni promessa – aggiunge – è debito”). A 800 metri dall’arrivo, immerso nel verde di Central Park, “ho sentito gridare forte il mio nome da parte di un gruppo di romani. Li ho salutati col pugno alzato, in segno di vittoria: non sai che carica mi hanno dato”. Tra i maratoneti anche tante facce note: “Sean Penn correva insieme a cinque ragazzini di Haiti per raccogliere fondi da devolvere all’isola devastata dal terremoto del 2010, mentre poco dietro di me, Pamela Anderson partecipava sempre a fini benefici. Tutti corrono per uno scopo: sensibilizzare l’opinione pubblica a una tematica particolare, urlare al mondo la propria vittoria contro il cancro o una grave malattia o, semplicemente, per lanciare una sfida a se stessi e tagliare il traguardo”. Ora Massimo ha due desideri: correre la maratona di Chicago e quella di Boston. “Al momento mi godo il regalo che mi ha fatto New York. Mi sento carico e irrobustito nel fisico e nell’anima. Speriamo che questa magia duri a lungo… Di certo esser passato dalle strade di Santa Croce a quelle della Grande Mela per me è – e resterà – un ricordo indimenticabile”.
Jessica Bianchi