…E luce fu!

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Fiat lux. E venne il giorno. La luminosissima vittoria di La Spezia rischiara la stagione del Carpi. Archivia il black-out del Braglia, spazza via le nubi d’Agosto. Con una severa lezione di gioco e umiltà, i biancorossi ammutoliscono il “Picco”, ridimensionano una delle grandi favorite del torneo e conquistano i primi gol, i primi punti e la prima vittoria in serie B. E’ un’altra pagina di storia. Ed è senz’altro una tappa piena di novità importantissime, che certifica una grande svolta nel percorso di crescita della squadra. Vediamo come Vecchi l’ha cambiata, a mercato finalmente chiuso. 
RETROGUARDIA – Innanzitutto ha stretto la difesa con altri due stopper (Poli e Gagliolo) ai lati di Pesoli e Romagnoli. È chiaramente un assetto da trasferta: meno spinta, in attesa che Letizia guadagni la miglior condizione e Liviero completi il rodaggio; ma anche molta più protezione. Diagonali sicure, elastici precisi, marcature più tenaci dentro l’area di rigore. Soprattutto 4 saltatori autentici a disposizione nei giochi di mischia.
MEDIANA – Nascono le spaziature corrette di quel centrocampo a 3 che è il tratto distintivo del mister. Dà molte più possibilità di gestione del possesso e facilità di accorciare il pressing sugli esterni, dove Vecchi vuole che avvenga il recupero della palla, per sprigionare la superiorità con la sovrapposizione dei terzini. Credo che Lollo-Porcari-Memushaj sia la soluzione finale. E’ un reparto compiuto, esatto, irrevocabile. Il vantaggio è averlo trovato subito. Il limite è che oltre a questo non si può andare, quindi ad ogni assenza corrisponderà un problema. Lollo mette quella corsa muscolare senza la quale non si avrebbe copertura piena della profondità. Memushaj toglie ogni piattezza dallo schema. Trova soprattutto la tutela per potersi avvicinare con efficacia all’area di rigore. Dove, essendo completamente ambidestro, smette di essere semplicemente eccezionale e diventa devastante. Porcari è il facilitatore del cambiamento. Porta i tempi in senso profondo. Non solo detta il ritmo dell’azione, ma ne stabilisce le variazioni con una singola giocata immediata. Picchia durissimo, trasmette carattere e coraggio. Alterna l’uso e la velocità dei passaggi laterali e verticali. Determina lui l’inizio e la fine delle fasi della partita da giocare, a seconda di cosa abbia bisogno la squadra. Se rifiatare, se abbassarsi. O se sollevarsi per aggredire. E’ sostanzialmente uno switcher, un traslatore. Il catalizzatore delle sintesi tra il calcio totale di alti arrembaggi (che è nel DNA di Vecchi), e quello d’oltranzismo strategico, d’attese basse e ripartenze lunghe (che, viceversa, è nel DNA di Giuntoli, dunque anche del Carpi di quest’epoca).
ATTACCO – I ruoli chiave sono i due estremi. Nell’Idea di Vecchi, il centrattacco è più spesso un secondo regista, mentre le due ali diventano a turno le prime punte. In un sistema di tagli e incroci, Concas è ideale come vertice tattico. L’esperimento più complesso è Sgrigna. E’ un fantasista centrale, predilige esplorare la profondità avendo la porta dritta davanti a sé. Sacrificarlo all’out significa demineralizzarne il talento. Spremergli 20 metri in più di fase difensiva. Ma se lui accetta il compromesso, con duttilità e sacrificio, il Carpi diventa equilibratissimo e molto sofisticato da affrontare. Resta da trovare il centravanti. Può darsi non ce ne sia uno definitivo. E’ probabile che Vecchi finirà per ragionare su una logica di competizione tra i 4 papabili. Scegliendo di volta in volta secondo convenienze e opportunità. Della Rocca alleggerisce molto il tridente, va bene quando serve più misura che impatto. E’ perfetto, invece, per cambiare in corsa perché è quello che capisce meglio il gioco e quindi può accoppiarsi con tutti senza elidere nessuno. Cani è da pantani e trincee chiuse, Mbakogu da praterie aperte. Sarà tuttavia molto difficile continuare a tener seduto Inglese, detto “Il Bimbo”. C’è una grazia fin quasi misteriosa nella sua corsa, un trotto leggiadro a bordo di quel metro e novanta di fibre esplosive che Madre Natura gli ha concesso. E c’è una genialità piena di bollicine nel suo modo di trattare la palla e sgusciarci via. Ha impiegato non più di 20’ per segnare un gol elegante e fortunato. Sono tutti sintomi da predestinato. Forse, chissà, lo è per davvero.
Enrico Gualtieri