In prima linea contro le mafie

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“Da un popolo che ha un camorrista e un morto di tumore in ogni famiglia non ci si aspetta la forza e la pazienza caparbia, la furbizia e la trasparenza di fare la rivoluzione tutti i giorni. E invece fare la rivoluzione tutti i giorni si può, per di più con il sorriso sulle labbra e avevo bisogno che gli abitanti del casertano me lo ricordassero”. Con queste parole la 21enne Rebecca Righi ha espresso il proprio entusiasmo per l’esperienza – alla quale ha partecipato insieme ad altre 13 persone di Carpi – del campo di volontariato (promosso da Comune di Carpi, Presidio Libera di Carpi, Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, Fondazione Casa del Volontariato, Anpi Carpi, Rock No War e Centro Servizi per il Volontariato) a San Cipriano d’Aversa, presso un bene confiscato al clan dei casalesi. Dal 22 al 28 luglio infatti, il gruppo ha svolto attività di volontariato, partecipato a incontri di formazione, vissuto intense esperienze insieme ad altre centinaia di giovani provenienti da ogni parte d’Italia. Esperienze tanto più forti e significative poiché svoltesi su un territorio sconvolto e deturpato dalla mano della camorra, in cui i bambini nascono con malattie genetiche, tumori, autismo e altre gravi patologie in misura assolutamente anormale, a causa degli sversamenti illegali di rifiuti tossici che, provenienti dalle aziende del Nord, per anni gli uomini dei clan hanno effettuato sotto case, scuole e campi coltivati. Una terra dove l’abusivismo, l’illegalità e la prevaricazione erano la regola fino a pochi anni fa, ma che ora stanno lentamente cambiando grazie allo sforzo di tante persone di buona volontà, soprattutto giovani, che non si rassegnano a considerare il loro territorio come un inferno, una zona franca rispetto al resto del Paese. Un territorio che, se ha sempre ricordato il potere di uno dei clan più pericolosi e potenti della camorra, da qualche anno viene associato anche alla figura di Don Peppe Diana, parroco di Casal di Principe ucciso perché aveva deciso di non chinare la testa di fronte al ricatto dell’illegalità. “Abbiamo incontrato il sorriso e la buona lena di chi sa che il lavoro da fare è ancora lungo e ce n’è per tutti i giorni a venire – continua Rebecca – di chi sa che i frutti li raccoglieranno altri, perché per ora si vedono solo i germogli. Che capacità inventiva, che creatività, che spirito imprenditoriale! Che abilità di vedere il seme e immaginare l’albero, di dare forma a cose che esistono solo in potenza. E che coinvolgimento, perché chi vive in quelle terre ha compreso che un viaggio da soli finisce presto e, quindi, la salvezza sta nel compagno che ti cammina al fianco”. Ascoltando, al loro ritorno, i racconti e le impressioni dei partecipanti, sembra proprio di capire che l’esperienza sia valsa una crescita, oltre che di conoscenza, di consapevolezza, come risuona nelle parole di Camilla Lugli, 18 anni. “Quando siamo arrivati alla stazione e ci siamo incamminati verso il paese mi pareva di essere in un film, perché si tratta di una realtà totalmente diversa da Carpi: strade piccole, case tutte attaccate, muri alti, i sacchi della spazzatura ai bordi delle vie e per questo mi sono sentita spaesata. Di giorno in giorno ho però conosciuto delle persone straordinarie, che mi hanno colpito  perché ho visto in loro la voglia di cambiare la realtà, di prendere in mano la situazione e mostrare di non aver paura né di parlare, né di mettere in campo progetti di riscatto concreti. Penso che  quest’esperienza abbia dato tanta speranza a tutti, io  qui a Carpi voglio continuare questo percorso e mi sono resa maggiormente conto di come la mafia esista dappertutto, anche qui, e quindi occorra mostrarla anche a chi non riesce a vederla”. Un viaggio intenso, ricco di contenuti, anche per Lisa Pavarotti: “la settimana è sembrata infinita, per lo spessore emotivo con il quale, giorno dopo giorno, dovevamo confrontarci. Un viaggio che ci ha costretti a rallentare, a sederci ogni sera sui gradini di una scalinata a riflettere sulle parole che, durante il giorno, abbiamo raccolto per le strade, dalla gente del posto, per poi poter riportare tutto con noi e raccontarlo a chi ci è vicino”. Una terra di contraddizioni, quella del casertano, che pare concepire soltanto gli antipodi: un’umanità autentica e un senso dell’ospitalità che ricorda l’Oriente, insieme a una violenza e una disumanità difficili da abbracciare nella loro portata globale; una bellezza spontanea, inconsapevole quasi, accanto a uno scempio inconcepibile; allegria irrefrenabile e cupezza in fondo al cuore; saper ben vivere ma mal morire; impegno infaticabile a braccetto con una impenetrabile indifferenza; un luogo dove panorami unici al mondo fanno il paio con le discariche abusive, gli Appennini di spazzatura ai bordi delle strade. Una terra, in ogni caso, dove sono possibili grandi scoperte. “Ho trovato molto più di quanto credevo – racconta la 24enne Silvia Diana – ho respirato il profumo del cambiamento, che ho avvertito nel riutilizzo dei beni confiscati in attività socialmente utili come il centro per le donne vittime di violenza, la fattoria con i prodotti certificati che dà lavoro a persone svantaggiate, l’associazione per i bambini autistici nella casa confiscata al terribile boss Francesco Schiavone detto ‘Sandokan’, alla Nuova Cucina Organizzata”. Una settimana che, grazie alla sua intensità, ha creato legami forti, come sottolinea Martina Forghieri: “abbiamo toccato con mano un volontariato fatto sì di un senso etico e civile, ma anche di storie vere, di persone che mettono in gioco la loro vita in prima linea, con rinunce anche dolorose, con scelte controcorrente e magari anche senza il sostegno della famiglia. I ragazzi che abbiamo conosciuto ci hanno raccontato storie di cambiamento che hanno il potere di capovolgere la Storia, anche se si parla di gesti quotidiani, che a noi potrebbero sembrare ‘facili’, come non abbassare la testa, non evitare un determinato luogo o denunciare un crimine. Sono ragazzi che ammettono che la paura fa parte della loro vita, ma che hanno deciso di non lasciare che sia questa a fare da timoniere nelle loro scelte. Ci hanno ripetuto più volte che per combattere il fenomeno mafioso non hanno bisogno di eroi ma di persone comuni che facciano il loro dovere, restando uniti, e questo è ciò che possiamo offrirgli”.
Ma da Carpi non hanno partecipato soltanto giovanissimi. Al campo di Libera c’erano anche Paolo Lodi, ufficiale della Guardia di Finanza, e Maria Grazia Luppi, insegnante di Scuola d’Infanzia. “Siamo partiti con una valigia e tornati con un baule. E’ proprio l’insieme di cose viste e vissute, assolutamente diverse e, spesso, contrastanti tra loro, che si accalca nella nostra mente e vorrebbe uscire fuori, qui al Nord, per raccontare che, in un territorio soggiogato e violentato per decenni dalla bestia camorristica, nel quale, per ragioni di mero arricchimento, non ci si è fatti scrupolo di rovinare tutto, brillano persone di buona volontà e grande capacità che non si stancano di combattere per cambiare le cose e rendere queste terre ‘normali’. Allora condividiamo, da Sud a Nord, le nostre risorse ed energie, impegnandoci a far circolare le esperienze. Facciamo rete, perché nessuno è fuori pericolo”.
Marcello Marchesini