Un aiuto per rientrare in ospedale

0
186

Molto si è parlato e si parla delle ferite che il terremoto del maggio 2012 ha causato alle strutture dell’Emilia Romagna, molto meno delle ferite interiori delle persone. L’attenzione, superata la fase acuta dell’emergenza, è andata via via affievolendosi eppure le conseguenze negative sugli individui e le organizzazioni di cui sono parte, spesso, si manifestano nel medio-lungo periodo e richiedono un’attenta azione di ascolto, affinché la gestione degli “effetti collaterali” sia effettuata in modo organico. Tutti gli studi scientifici dimostrano infatti che dopo un evento traumatico, come quello causato dal terremoto, la maggior parte degli individui passa attraverso una fase “eroica”, una fase di disillusione, sino ad arrivare alla vera e propria ricostruzione volta e ripristinare la situazione esistente prima che si verificasse l’evento catastrofico. Il progetto di Supporto organizzativo post-sisma rivolto agli operatori degli ospedali e dei distretti sanitari di Carpi e Mirandola – messo a punto dall’Azienda Usl di Modena con la supervisione scientifica della Facoltà di Psicologia dell’Università di Bologna, che ha donato il proprio sapere, mettendo a disposizione le competenze dei docenti a titolo gratuito – è stato avviato a partire dal luglio scorso con l’obiettivo di affiancare, passo dopo passo, il personale socio-sanitario nel progressivo reinserimento all’interno delle strutture sanitarie d’origine, con un’attenzione specifica per la dimensione individuale e le dinamiche di gruppo all’interno delle quali i lavoratori sono chiamati a operare. “Quando ci è stato chiesto se potevamo fare qualcosa per favorire il ritorno alla normalità organizzativa nelle strutture colpite dal sisma, siamo stati lieti di poter dare il nostro contributo scientifico e professionale. Esistono circostanze in cui la solidarietà deve tradursi in comportamenti concreti” sottolinea il direttore del Dipartimento di Psicologia dell’ateneo bolognese, professor Bruno Baldaro.
Per sintetizzare in una parola la capacità di risposta che il sistema sanitario ha saputo dare dopo il terremoto, potrebbe essere usato il termine resilienza. Un concetto, spiegano i docenti universitari che hanno lavorato al progetto che indica la capacità di far fronte, in modo positivo, agli eventi traumatici e riorganizzare la propria vita davanti alle difficoltà. Dalla ricerca, condotta attraverso oltre 140 questionari individuali e 50 incontri di gruppo, emerge infatti che, se il sisma ha avuto un forte impatto su l’80% degli operatori socio-sanitari dell’Area Nord, dopo l’evento catastrofico oltre a paura e insicurezza è stato avvertito anche un maggior “coinvolgimento affettivo” nell’organizzazione del lavoro e un miglioramento delle relazioni coi colleghi. L’indagine ha inoltre messo in luce che la prima preoccupazione del personale ospedaliero, dopo il sisma, è stata quella di mettere in sicurezza i pazienti ricoverati, evidenziando la forte identificazione degli operatori con il loro ruolo professionale.
Il supporto del gruppo di lavoro si è rivelato il fattore più importante e determinante per il superamento positivo del trauma. La maggioranza degli intervistati ha ammesso di aver dovuto “riorganizzare e adattare il proprio lavoro” e che questo cambiamento ha creato “l’occasione per riflettere sul proprio operato” e “per trovare nuove soluzioni organizzative”. Conoscere altri contesti lavorativi ha rafforzato i legami esistenti prima del sisma e ha portato gli operatori a definire una nuova scala di valori e di priorità anche a livello lavorativo. Oltre l’85% degli operatori ha dichiarato di risiedere in un comune terremotato e il 70% di loro era al lavoro durante le scosse del 20 e del 29 maggio scorso. Sul territorio di Carpi e Mirandola, dopo il sisma, il 14% del campione di operatori intervistato ha continuato a vivere nella propria abitazione mentre il 7,9% si è trasferito in tenda, il 2,1% all’interno di una tendopoli, il 9% presso amici e familiari, l’1,4% in un’altra abitazione. Il 41%, invece, ha dichiarato di aver vissuto in auto per alcuni giorni.

La testimonianza

“Il 29 maggio ero a casa – racconta Anna, nome di fantasia di un’infermiera dell’Ospedale di Carpi che ha partecipato al progetto di Supporto organizzativo post-sisma per gli operatori sanitari – e ho sentito la scossa in modo violento. Dovevo andare a lavoro, in ospedale, ma appena ho compreso quanto stava succedendo mi sono lanciata sulle scale e sono corsa a prendere i miei figli che erano a scuola. In quei momenti pensi subito al peggio e arrivi con il cuore in gola. Fortunatamente i miei figli stavano bene, a parte la paura. A quel punto, senza neppure pensarci, sono andata in automobile davanti all’ospedale, dove lavoro da anni. Ero in pensiero per tutti i miei pazienti, per le persone che già dalla prima scossa del 20 maggio erano accampate dentro tende e ricoveri di fortuna. In quei momenti terribili si sentono emozioni difficili da raccontare e oggi, che coi colleghi del reparto siamo rientrati in ospedale, non è facile superare ansie e insicurezze. Il lavoro di squadra e il confronto di gruppo è uno dei modi migliori per tirare fuori i propri stati d’animo. Solo insieme, infatti, è davvero possibile ricostruire. Se ci si isola, invece, si rischia di andare a fondo”.