Niente è irrecuperabile

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Mettere mano a una ristrutturazione in centro storico non è questione di ordinaria amministrazione. Se poi ci si mette il terremoto, le cose si complicano, e parecchio: i danni inferti dal sisma al centro storico di Carpi non sono stati così gravi come altrove dove si è proceduto con dolorose demolizioni ma per gli immobili che hanno subito danni significativi si prospettano interventi particolarmente complicati e onerosi. L’alternativa, per i proprietari, è quella di abbandonare i palazzi storici al loro destino e di degrado in centro si parlava ben prima delle scosse di maggio. Il terremoto per il cuore di Carpi, infatti, ha rappresentato un ulteriore duro colpo rispetto a una situazione già complessivamente compromessa per la mancanza di un’ adeguata manutenzione particolarmente complessa per edifici che risalgono, in alcuni casi, alla metà del Seicento. “I problemi sono strettamente connessi – ci spiega l’ingegnere Silvia Zanetti dello Studio Associati Techne, al quale sono stati affidati diversi cantieri – alla fisionomia del centro storico in cui gli edifici sono adiacenti, collegati l’uno all’altro, in una simbiosi non sempre facilmente decifrabile”. Gli interventi ‘a posteriori’, ci spiega l’ingegnere, per adattare gli edifici storici ad abitazione o a negozio, hanno modificato la struttura originaria di questi immobili: “nel passato, per esempio, sono state create nuove aperture o chiusi varchi esistenti e frequentemente troviamo laterizi forati laddove la muratura è portante. In questi casi basta un movimento differenziale del terreno per creare fessurazioni”. La necessità di adeguare l’impiantistica a esigenze moderne ha spesso imposto di canalizzare gli impianti lungo i muri ma “questi tagli, quando realizzati all’incrocio di muri portanti, provocano l’assenza di ammorsamento efficace tra pareti ortogonali, caratteristica fondamentale per un buon comportamento della struttura in caso di sisma. Anche lo stato conservativo delle malte e la sua qualità incide sulla resistenza delle pareti: la malta, spesso a base di calce e sabbia, che può essere scalzata a mano oppure con una punta metallica, quindi particolarmente inconsistente e farinosa, dimostra una bassa resistenza a taglio, che porta a un’altrettanto insufficiente resistenza della parete. Il rischio è di trovarsi di fronte a immobili che, col tempo, hanno perso la loro capacità strutturale”.
Inoltre “nelle nostre zone, le strutture di copertura con travi lignee o in prefabbricato sono di tipo spingente sulle murature principali e, se non adeguatamente provviste di catene o di un efficace collegamento tra struttura portante della copertura e le murature perimetrali sottostanti favoriscono durante il sisma il collasso fuori dal piano delle pareti sottostanti, a causa dell’incremento della spinta esercitata in condizioni normali, col rischio estremo di ribaltamento delle facciate. Anche la pesantezza della copertura incide negativamente, in quanto determina la nascita di elevate forze d’inerzia che possono superare la resistenza delle murature di cattiva qualità”. Infine c’è la questione dei portici, “con le colonne già al limite del loro carico, segnate da lesioni verticali spesso antecedenti le scosse e gli archi che hanno manifestato segni di cedimento, spesso evidenti nell’abbassamento della chiave di volta e hanno trovato una nuova configurazione di equilibrio fino a quando la causa del dissesto non muta ulteriormente”. “Niente di irrecuperabile” afferma l’ingegnere, anche se progettare un intervento di ripristino, miglioramento o adeguamento sismico non è cosa semplice per tutti questi motivi e per le incognite relative a ciò che si trova al di là del muro, nell’abitazione confinante, nella quale in genere non si è autorizzati a indagare.
A complicare ulteriormente l’iter c’è poi la burocrazia. “Del cantiere di corso Fanti, per esempio, non siamo in possesso della Scheda Aedes: l’inagibilità potrebbe essere classificata B o C perché non ci sono situazioni di pericolosità che rendano necessario un progetto di miglioramento sismico globale del fabbricato. Il tipo di inagibilità potrebbe essere dichiarato con perizia asseverata, salvo poi conferma o meno da parte della Regione. Non abbiamo la Scheda Aedes perché i tecnici qui hanno trovato ancora in parte aperto un cantiere relativo a un cambio di destinazione d’uso di locali, ma la scheda è necessaria se si vuole ottenere l’esenzione dal pagamento dell’Imu. Anche in questo caso è possibile fare un’autodichiarazione, ma se questa non venisse confermata sarebbe necessario pagare la tassa con gli interessi”. Con tanta pazienza e un’inevitabile perdita di tempo, allo Studio Associati Techne hanno trovato la soluzione. Resta, invece, l’incognita dei rimborsi e finora chi ha deciso di procedere coi lavori se li è pagati di tasca propria. “Un apparato normativo particolarmente complesso regola l’accesso ai rimborsi e le procedure non sono certo veloci. Delle richieste presentate sinora la maggior parte è stata giudicata non congrua e da rivedere”.
Sara Gelli

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