Per smantellare le province non bastano i mezzi corazzati

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Disquisire del nome è stato un divertissement di breve durata: il Governo come un caterpillar, ha messo mano al riordino delle province fondendo territori e competenze e attuando tagli funzionali, come quelli precedenti, al risanamento del deficit. Ha provato a far decadere i presidenti e poi i consigli provinciali, ma non è riuscito nell’intento perché è anticostituzionale far dimettere organi elettivi. Per questo se l’è presa con gli assessori provinciali, non eletti ma nominati dal presidente, licenziati in tronco e tutti a casa dal gennaio 2013.
“Un’uscita di scena umiliante” secondo il consigliere provinciale Luca Gozzoli (Pd) mentre il collega Bruno Rinaldi (Pdl) accusa il Governo “di praticare l’eutanasia a un’istituzione eletta dai cittadini”. A Destra e a Sinistra si assiste a una levata di scudi contro le scelte del Governo mentre “nessuno protesta né si preoccupa di come e da chi verrà svolto il ruolo delle Province” ha sostenuto Ennio Cottafavi (Pd). Ebbene sì, la gente ha altro a cui pensare in questo momento e, con ogni probabilità concorda, col Governo Monti, sulla necessità di metter mano alle Province: se fosse stato per la politica, questo riordino non si sarebbe fatto mai. Ha ragione Davide Baruffi (Pd): “se oggi sta avvenendo male – ha detto in Consiglio provinciale – è perché la politica non è stata in grado, prima, di fare il proprio mestiere”.
Così è toccato al Governo Monti, più preoccupato della forma che della sostanza perché se fosse stato per il ministro Patroni Griffi oggi le province non ci sarebbero nemmeno più: quando, però, ha saputo che col passaggio dei dipendenti provinciali alle regioni, questi sarebbero venuti a costare un trenta per cento in più, ha cambiato idea mantenendo e accorpando le province. Con l’azzeramento degli assessori ci sarà certo un risparmio ma il rischio è quello del collasso perché il presidente non potrà da solo farsi carico di tutto: l’intera attività della provincia rischia la paralisi.
Facile immaginare lo stato d’animo dei dipendenti che vivono, come tanti altri lavoratori, in un clima di grandi incertezze sul loro futuro.
Detto questo, siamo in Italia e il decreto sul riordino delle province che deve diventare legge entro il 7 gennaio giace in Senato insabbiato da quegli stessi che, dopo aver istituito la provincia della Valdossola, ora chiedono la deroga per le città che hanno torri pendenti.
Sara Gelli