Si va avanti, ma di tasca propria

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Il gazebo è ancora montato sul retro della ditta: Bruno Pompeo, titolare di Tessitura Roberta, nonché vice presidente della Federazione Lapam Moda, è stato uno dei primi a decidere di trasferire la propria attività all’aperto dopo il sisma del 29 maggio, “alle 8,30 del giorno dopo eravamo già al lavoro, sotto il gazebo, dove siamo rimasti fino a metà luglio. Ma abbiamo lavorato male, sempre col timore di nuove scosse”.
Quel giorno non lo dimenticherà mai. “Eravamo qui quando c’è stata la prima scossa. Io mi sono riparato sotto una delle macchine tessili, mia moglie e gli altri sono scappati fuori”. Il terremoto ha inflitto gravissimi danni a una zona densamente popolata da micro e piccole imprese, già in difficoltà per la crisi economica in atto: dalle parole di Pompeo emerge con estrema chiarezza la volontà di riprendersi al più presto possibile contando naturalmente sull’aiuto delle istituzioni, ma facendo affidamento soprattutto sulle proprie capacità imprenditoriali. Pompeo racconta però anche di chi ha chiuso: “non ce la faccio a ripartire”, gli ha detto un amico tessitore di Cavezzo. Il capannone dove ha sede la ditta, nella zona artigianale Autotrasportatori, non ha subito alcun danno nonostante sia stato costruito alla fine degli Anni ‘90 e quindi non abbia caratteristiche antisismiche, ma “abbiamo vissuto nell’incertezza di cosa si doveva fare relativamente alla sicurezza”. Il decreto, poi trasformato in legge, non ha dato certezze e Bruno Pompeo a luglio ha deciso di attivare la cassa integrazione per i due dipendenti. “Non mi sono potuto assumere la responsabilità per altre persone. Ho pensato alle conseguenze nel caso in cui fosse accaduto un incidente in ditta o sul tragitto da casa al lavoro. E ad assillarmi era sempre lo stesso pensiero: quella persona non si doveva trovare lì, non potendo lavorare in una struttura non a norma. Dopodiché io non me la sono sentita di far tornare i dipendenti dentro la ditta”. Oggi continua a lavorare nell’incertezza generale, senza sapere quale livello di sicurezza debba essere garantito, quali siano gli interventi provvisori da effettuare subito e cosa si debba fare invece nei prossimi quattro/otto anni.
“Il capannone è tutto imbullonato, non ha subito alcun danno, non abbiamo scaffali da controventare, né dobbiamo fare legature alle pareti o alle travi. Siamo in attesa di una mappatura che individui il grado di rischio nella nostra zona e il conseguente intervento di consolidamento da approntare. E’ nostra intenzione effettuare un intervento unico per garantire un livello di sicurezza pari al 60%”.
Nel frattempo Pompeo ha perso ordini “perché non ho più la gente che lavora”. Ma il suo pensiero è per quegli imprenditori che hanno subito danni indotti: “c’è chi non lavora da quattro mesi perché i locali in affitto dove aveva l’attività sono stati dichiarati inagibili e il proprietario non ha intenzione di metterci mano a breve investendo soldi per la messa in sicurezza”. Ma di quanti soldi stiamo parlando? “Di migliaia di euro che io ho già intenzione di tirar fuori dalle mie tasche, senza aspettare la certezza del finanziamento. Si tratta di un investimento che mi posso permettere. Dicono che ci verrà rimborsato l’80% attraverso contributi ma io avrei preferito sgravi fiscali e se lo Stato non ci sente, ci può sentire la Regione con l’esenzione dal pagamento dell’Irap. C’è chi sostiene – conclude Pompeo – che in tre anni torneremo come prima, ma per me questo rappresenterebbe una sconfitta perché avremmo perso tre anni. Fra tre anni dobbiamo poter contare su strutture in sicurezza all’interno delle quali lavorare di più e meglio a vantaggio del territorio e dello Stato, creando profitto e occupazione”.
Sara Gelli