Quel che resta dell’Aquila

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Martedì 28 agosto. E’ la Festa della Perdonanza, la più grande festa aquilana che, ogni anno, dal 1294, ricorda l’incoronazione di papa Celestino V. Il corteo storico parte da Piazza Duomo per percorrere la strada che conduce a S. Maria di Collemaggio dove ogni anno viene aperta la Porta Santa: ci sono arcieri, cavalieri con al braccio i rapaci, popolani, dame e crociati in costume dell’epoca seguiti dalle autorità civili e militari della città e da un fiume di gente accorsa per assistere a un rito a metà tra religione, folklore e storia e che, dal 2013, potrebbe essere riconosciuto “bene immateriale dell’umanità” dall’Unesco, come i canti a tenore della tradizione pastorale sarda.

E’ inevitabile che il traffico, in un’occasione del genere, vada in tilt e, con difficoltà, riusciamo ad avvicinarci in auto al centro storico percorrendo viale Duca degli Abruzzi, che costeggia la cinta muraria.

E’ qui che si verifica l’impatto con ciò che ha provocato il terremoto del 6 aprile 2009: le vie laterali lungo il viale sono sbarrate dalla rete metallica, al di là della quale si intravedono solo puntelli e quel che resta degli edifici smembrati, coi vetri rotti e l’erba che cresce incolta ovunque. La rete metallica ce la troviamo davanti percorrendo la strada in auto perchè, a un certo punto, in corrispondenza di un viadotto, è interrotta. Inutile cercare strade alternative. “Da qui non si sale in centro storico – ci spiega un passante – potete provare a chiedere ai militari ma, solitamente, sono intransigenti. Per il centro ci sono solo due accessi”.
Il “raro” passante intende corso Vittorio Emanuele e Corso Federico II.

Ci avviamo a piedi. In viale Duca degli Abruzzi e in viale Giovanni XXIII avevano la loro sede numerose scuole, asili e istituti superiori abbandonati dal giorno della scossa così come abbandonate sono le case coi vetri rotti e gli squarci nei muri. Alcune sono state messe in sicurezza ma comunque sono perlopiù disabitate. Qui non c’è nessuno: poche anche le auto che transitano. Il cuore è invaso da un senso di profonda desolazione: per lo stato delle cose, si potrebbe pensare che il terremoto abbia colpito pochi mesi fa. Anche i pochi cantieri potrebbero indurre a credere che il terremoto sia cosa avvenuta di recente: sulla Dia di quello per la ricostruzione di un condominio c’è l’indicazione della data di inizio lavori: 23 luglio 2012.

In prossimità del centro storico riprende la vita: gli aquilani sono accorsi in gran numero per la Perdonanza e non sembrano curarsi del fatto che la loro città abbia cambiato completamente fisionomia. La farmacia e gli esercizi commerciali sopravvissuti sono ancora ospitati dentro le casette prefabbricate, pochi quelli che hanno potuto riaprire lungo i corsi che attraversano il centro storico, innumerevoli quelli che hanno chiuso le serrande. Tutte le vie che confluivano a ventaglio sulla piazza sono chiuse dalla rete metallica. Non è più possibile intuire l’originalità di una città fondata da novantanove castelli, ognuno dei quali si ritagliò uno spazio per costruirvi la sua chiesa, la sua piazza e la fontana, oltre naturalmente alle case: per questo L’Aquila ha tante chiese, tante piazze, tante fontane e tanti nomi uguali a quelli dei paesi sparsi sotto il Gran Sasso. L’accesso è interdetto ovunque in centro e ciò che si intravede è ingabbiato e irriconoscibile. La visita si limita a Piazza Duomo, alla basilica di Collemaggio e alla Fontana delle 99 cannelle: poi ci si arrende all’evidenza. L’Aquila era davvero una bella città. Nelle cronache locali c’è un tentato omicidio che occupa le prime pagine dei giornali: un uomo ha colpito la compagna nel letto con un paio di forbici, ma di terremoto si continua a parlare.

“La fine dell’emergenza. Piano di ricostruzione: da Chiodi segnali di pace” titola il servizio del quotidiano Il Centro, che riconduce i ritardi alle discussioni e ai litigi, tutti politici, tra il presidente della Regione Abruzzo Chiodi e il sindaco dell’Aquila Cialente sulla necessità di predisporre un piano di ricostruzione sul quale si è discusso per mesi per definire cosa fosse “con dotte disquisizioni di esperti vari”. “La necessità di fare i piani di ricostruzione – si legge nell’articolo – nasceva da un emendamento alla legge del giugno del 2009 (che convertì il decreto del Governo Berlusconi del 28 aprile 2009). La Legge Barca – approvata un mese e mezzo fa – svuota di significato i piani di ricostruzione e ne fa strumenti strategici (accademia appunto) dandogli valenza urbanistica solo se c’è un successivo accordo, caso per caso, anche con la Provincia”.
In pratica, sono trascorsi oltre due anni di scontri politici su una questione che oggi si rivela secondaria. “Il piano – continua l’articolo – un senso però ce l’ha laddove stabilisce per grosse linee quanto lo Stato dovrà spendere in prospettiva per L’Aquila e frazioni (circa 5 miliardi per il capoluogo e circa 2 per i paesi). La cifra dettagliata verrà fuori dai progetti che verranno presentati man mano ed esaminati”.

Nel giorno della Festa della Perdonanza non c’è posto per gli atti d’accusa e gli aquilani sorridono e si abbracciano per le strade di una città che, già nel 1703, fu completamente distrutta dal più rovinoso dei frequenti terremoti e seppe risorgere con connotati bellissimi.
Sara Gelli