Home Carpi “Mi prendo cura di mia moglie affetta dal Morbo di Parkinson”

“Mi prendo cura di mia moglie affetta dal Morbo di Parkinson”

“Mi mancano le nostre vacanze in camper. Il Salento in cui abbiamo trascorso per anni momenti che sono ancora nel nostro cuore, le partenze improvvise alla domenica pomeriggio per una passeggiata in riva al lago di Garda e i miei fumetti, perchè la sera quando vado a letto sono troppo stanco per leggere…”. A parlare è il carpigiano 74enne Volmi che da cinque anni a questa parte si prende cura di Angela, la sua bella moglie di 72 anni. “Se ci si isola si resta bloccati, tutto inizia a peggiorare e si cade in un tunnel da cui poi è impossibile uscire. Stare in mezzo alla gente è fondamentale. Convivere con una malattia degenerativa è difficile. Cambia tutto. Nulla è più come prima ma ci si deve adattare e andare avanti. Se mia moglie non riesce più a tagliare il cibo che ha nel piatto io sono pronto a farlo per lei. Per non inciampare, cammina appoggiandosi a me. Insomma io ci sono”.

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“Mi mancano le nostre vacanze in camper. Il Salento in cui abbiamo trascorso per anni momenti che sono ancora nel nostro cuore, le partenze improvvise alla domenica pomeriggio per una passeggiata in riva al lago di Garda e i miei fumetti, perchè la sera quando vado a letto sono troppo stanco per leggere…”.

A parlare è il carpigiano 74enne Volmi che da cinque anni a questa parte si prende cura di Angela, la sua bella moglie di 72 anni.

“Ad Angela è stato diagnosticato il Morbo di Parkinson qualche anno fa, una patologia che in realtà è 100 malattie. La situazione ha iniziato ad aggravarsi con la pandemia, nel 2020, e ora lei fatica a tirare fuori le parole, ha poca forza, l’equilibrio è sempre più precario e tutto questo la fa davvero arrabbiare”.

Uscire di casa per lei è diventata una sfida, soprattutto psicologica, ma Volmi non molla: “quest’estate sono riuscita a convincerla a trascorrere una settimana a Cesenatico in albergo, una novità per noi, insieme al Gafa. E’ stata una esperienza piacevole per entrambi e non solo per le passeggiate al mare e le numerose attività pomeridiane, bensì per gli incontri fatti e le relazioni che abbiamo tessuto. Ho conosciuto persone che continuo a sentire perché a volte basta una telefonata per risollevare l’umore e far cambiare piega a una giornata storta”.

La quotidianità di Volmi è scandita da ritmi precisi, “al mattino mi dedico completamente ad Angela. La aiuto nelle faccende domestiche, in cucina… lasciando però a lei l’onere di rifare il letto e riporre le sue cose… di compiere insomma quei piccoli riti quotidiani che lei ama fare seppure coi suoi tempi. Con estrema lentezza, ma d’altronde non abbiamo nessuno che ci corre dietro. Al pomeriggio invece vado in officina, da mio figlio Giacomo, per dare una mano dove posso. Ho passato una vita intera a fare il meccanico e stare lì mi rilassa, mi distrae la mente”.

Volmi al momento si occupa da solo di Angela ma, prosegue, “noi siamo fortunati, abbiamo una rete familiare che ci supporta e su cui io posso fare affidamento. I fratelli di Angela, così come mia sorella, sono sempre presenti e questo è davvero confortante”.

A riempire le giornate però sono anche i tanti servizi che Volmi ha attivato per supportare Angela e se stesso: “di fronte a una diagnosi di Parkinson si stringe un rapporto costante con varie figure mediche, dal neurologo allo psicologo, dallo psichiatra alla logopedista, alla dietologa. Poi però a offrire un supporto indispensabile è il mondo del volontariato grazie al quale facciamo ginnastica varie volte alla settimana, ci incontriamo, ci confrontiamo. Ora, ad esempio, Angela sta facendo un corso alla Casa della Comunità rivolto alle persone che faticano a esprimersi: io, conoscendola, la aspetto, le lascio il tempo di tirare fuori quella voce che sembra non voler uscire ma lei davanti agli estranei preferisce tacere e questo non è giusto”.

A volte le rinunce e il peso della cura possono generare un profondo senso di solitudine e una disperazione tale da portare a gesti drammatici come l’omicidio – suicidio di Castelfranco Emilia. “A volte davanti alla malattia gli amici si allontanano – continua Volmi – e invece è proprio in quei momenti che serve la compagnia. Avere qualcuno che ti viene a trovare o che semplicemente ti telefona o ti manda un messaggino su Whatsapp fa enormemente piacere. Casi come quello di Castelfranco Emilia nascono dalla disperazione. Un dramma tremendo. Chi arriva a compiere un gesto simile non ha più speranza. Qui i servizi ci sono. Ci sono dei volontari meravigliosi, il trasporto sociale… ci si deve informare, guardarsi intorno e cercare ciò che risponde alle proprie esigenze. Non dico sia facile ma se non si è soli tutto diventa meno pesante da gestire”.

E poi c’è il capitolo della vergogna che tante persone, troppe, nutrono ancora di fronte a una patologia invalidante. “Se ci si isola si resta bloccati, tutto inizia a peggiorare e si cade in un tunnel da cui poi è impossibile uscire. Stare in mezzo alla gente è fondamentale. Noi abbiamo amici che vivono la nostra stessa situazione non c’è nulla di cui vergognarsi. Convivere con una malattia degenerativa è difficile. Cambia tutto. Nulla è più come prima ma ci si deve adattare e andare avanti. Se mia moglie non riesce più a tagliare il cibo che ha nel piatto io sono pronto a farlo per lei. Per non inciampare, cammina appoggiandosi a me. Insomma io ci sono. Dovrei forse vergognarmi per questo?”.

Ritagliarsi qualche momento per sé però è indispensabile per ricaricarsi le pile: “ho due nipotini che mi fanno felice, un’officina a cui tornare e i miei amati Tex e Diabolik per distrarmi un pochino” sorride Volmi. E il nostro abbraccio.

Jessica Bianchi