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No al fotovoltaico a terra a PortoVecchio di San Martino Spino, firma la petizione anche tu!

Un gioiello incastonato nelle campagne della Bassa modenese rischia di scomparire, inghiottito da una distesa di 25 ettari di pannelli fotovoltaici a terra. Ennesimo esempio di come una mancata regolamentazione della produzione energetica da fonti rinnovabili stia favorendo la nascita di grandi impianti a scopo speculativo arrecando enormi ferite ai territori. Nella fattispecie stiamo parlando della tenuta di PortoVecchio, antica delizia della Famiglia Pico, poi Centro di Allevamento Quadrupedi per l’Esercito, situata nella piccola frazione di San Martino Spino. Immerso nelle valli mirandolesi (la zona naturalistica protetta più estesa di tutta la nostra provincia), fatte di terra, barchessoni e zone umide, il complesso storico di PortoVecchio, nonostante sia inaccessibile da decenni, è nel cuore di molti cittadini i quali si sono mobilitati con una raccolta firma.

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Un gioiello incastonato nelle campagne della Bassa modenese rischia di scomparire, inghiottito da una distesa di 25 ettari di pannelli fotovoltaici a terra. Ennesimo esempio di come una mancata regolamentazione della produzione energetica da fonti rinnovabili stia favorendo la nascita di grandi impianti a scopo speculativo arrecando enormi ferite ai territori. Nella fattispecie stiamo parlando della tenuta di PortoVecchio, antica delizia della Famiglia Pico, poi Centro di Allevamento Quadrupedi per l’Esercito, situata nella piccola frazione di San Martino Spino. Immerso nelle valli mirandolesi (la zona naturalistica protetta più estesa di tutta la nostra provincia), fatte di terra, barchessoni e zone umide, il complesso storico di PortoVecchio, nonostante sia inaccessibile da decenni, è nel cuore di molti cittadini. La tenuta – con il suo Palazzo seicentesco dotato di torretta dell’orologio, il prodigio ingegneristico del Magazzino Cereali e Carriaggi, il suo frassino monumentale dal tronco che supera i 4 metri e mezzo di circonferenza, le scuderie e la galleria di platani secolari del viale – è stata vincolata  dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna nel 2016 ma malgrado questo rischia di essere spazzata via. E con essa la storia che lì per secoli si è consumata.

Ed è proprio per tentare di evitare che tale scempio si compia, il Comitato Portovecchio San Martino Spino ha lanciato sulla piattaforma change.org una petizione (per firmare, clicca sul link https://www.change.org/p/no-fotovoltaico-a-terra-a-portovecchio-fd7028a6-c13c-4739-91fe-a5d3c2c41480 ).

Lo scorso 15 settembre – spiega il portavoce del comitato Pierfilippo Tortoraabbiamo inviato alle autorità (tra cui i Ministeri della Difesa, della Cultura e dell’Ambiente, i commissari e i vice commissari speciali che hanno individuato i siti idonei) la petizione No fotovoltaico a terra a PortoVecchio. Ciò che chiediamo è che PortoVecchio venga espunto dall’elenco dei siti oggetto del Bando Energia 5.0 della Società Difesa Servizi, apparso il 4 giugno scorso. Ora siamo in attesa di una risposta, nella speranza che prima della scadenza del Bando, ovvero il 15 ottobre, il sito venga ritirato dalla gara. Vi è già stato un precedente simile a Cagliari nel luglio scorso, non è una operazione gravosa o complessa occorre solo la volontà di farlo”.

Nel 2017 in occasione delle Giornate F.A.I. di primavera, il sito era stato aperto al pubblico, un’occasione straordinaria che aveva richiamato migliaia di persone curiose di poter varcare cancelli rimasti chiusi per anni. Sull’onda di quel successo, il Comitato Salviamo Porto Vecchio si è costituito sotto l’ala del F.A.I. per permettere la partecipazione di PortoVecchio al Censimento Luoghi del Cuore F.A.I. 2020. In quell’occasione, nonostante le difficoltà legate alla pandemia, vennero raccolte oltre 3mila firme. Resosi autonomo il comitato di cittadini è sostenuto dal Consiglio Frazionale di San Martino Spino e dalle principali associazioni del paese e nell’agosto 2025 si è attivato per scongiurare la distruzione del sito, il cui valore storico e naturalistico è innegabile.

“Originariamente Porto Vecchio – prosegue Pierfilippo Tortora – si estendeva su quasi 700 ettari. L’impianto del palazzo che vi insiste è seicentesco ma l’allevamento di cavalli, che arrivò ad ospitarne fino a 13mila, si perde nel tempo, già dal 400 infatti si hanno testimonianze di cavalli, anche di razze pregiate, che provenivano da qui. Nel 1883 è poi intervenuto lo Stato unitario e l’impianto che diede al sito è quello ancora leggibile nonostante lo stato di degrado e la vegetazione. Nel 1954 il centro di allevamento venne chiuso e da allora il complesso ha svolto diverse funzioni; una gran parte è ancora fruibile grazie all’amministrazione dei terreni da parte della Cooperativa agricola Focherini e al recupero avvenuto all’inizio del Millennio dei barchessoni, oggi immersi nel verde, tra boschi e aree paludose. La parte nord invece, quella interessata dal bando, oggi di proprietà dell’Agenzia del Demanio Civile e in concessione d’uso al Ministero della Difesa, è proprio l’area centrale di circa 33 ettari su cui insistono gli edifici di interesse storico e le alberature di maggior pregio, dalla doppia fila di platani tutti secolari del viale principale lungo ben un chilometro al frassino monumentale del Magazzino cereali, alle querce”.

L’area, ormai in disuso, dal 2019 è entrata a far parte del patrimonio disponibile dello Stato e pertanto può essere venduta ma, sottolinea Tortora, “l’attivazione della concessione, prevista dal Bando in una durata non superiore ai 25 anni, comporterebbe un crollo del valore economico dell’immobile, esponendolo al rischio concreto di una speculazione ai danni dello Stato”.

Insomma il sito deve essere preservato: “siamo perfettamente consapevoli che il complesso debba essere riqualificato ma al momento la nostra priorità è quella di evitare l’abbattimento di edifici e alberi, dopodiché il nostro comitato, che nella sua trasversalità rappresenta lo specchio dell’intera comunità, auspica di poter diventare un interlocutore utile. Dopo il definitivo abbandono dell’area da parte dei militari avvenuta nei primissimi anni Duemila, il terremoto ha assestato un colpo importante agli edifici (anche se basta una semplice verifica con Google Earth per notare come i danni più gravi siano quelli riportati negli ultimissimi anni e causati non dal sisma bensì da un abbandono consapevole che ha di fatto condannato gli stabili a essere vittima della vegetazione): nel giugno 2012 erano stati stanziati 3 milioni e 800mila euro per il sito oltre ad altre risorse per la messa in sicurezza degli stabili. Fondi che sono ancora lì e che per essere sbloccati necessitano di un progetto di rigenerazione e rifunzionalizzazione. Una volta scongiurato il rischio di veder realizzato un impianto di pannelli a terra in questo luogo tanto ricco di storia e natura, l’auspicio del Comitato è che possa essere ripreso quel dialogo istituzionale che negli scorsi decenni non ha mai portato risultati positivi”.

Un impegno, quello del Comitato – che vede anche l’appoggio della sindaca di Mirandola Letizia Budri  che speriamo possa fermare questa colata di pannelli.

Jessica Bianchi