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Classi ghetto nella scuola dell’infanzia: cosa è stato fatto a Carpi per evitarle?

L’esigenza di individuare criteri oggettivi, a cui affidarsi per stabilire i punteggi di una graduatoria che sia inattaccabile, ha fatto perdere di vista tutto il resto. A Carpi ci sono sedici scuole d’infanzia, di cui sei comunali e dieci statali in cui la percentuale dei bambini con cittadinanza non italiana è in media del 30% (era il 23% nel 2014). Le scuole statali si fanno carico dell’accoglienza in misura quasi tripla rispetto alle comunali: nelle prime i bambini stranieri sono il 39,5%, nelle comunali il 15,2%. Sono tre le scuole d’infanzia statali in cui i bambini stranieri superano nettamente il numero di bambini italiani.

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Che ci saremmo arrivati lo avevamo scritto vent’anni fa, ma la situazione si configura oggi più critica rispetto a quel che si poteva immaginare quando la percentuale di iscritti alla scuola d’infanzia con cittadinanza non italiana era del 15%. Allora la preoccupazione era quella di fare integrazione accogliendo bambini con una cultura diversa dalla nostra, oggi la sfida è quella di riuscire a trasmettere qualcosa della nostra cultura in sezioni in cui non ci sono bambini italiani.

È sotto gli occhi di tutti la diversa composizione della popolazione ma non bastano i dati demografici o le pretese delle famiglie a giustificare la realtà delle scuole d’infanzia carpigiane comunali e statali: l’esigenza di individuare criteri oggettivi, a cui affidarsi per stabilire i punteggi di una graduatoria che sia inattaccabile, ha fatto perdere di vista tutto il resto, tanto che già nel 2014 ci si ritrovò con una sezione in cui tutti i bambini erano stranieri. Sembrava che la lezione fosse stata imparata e nel 2017 si firmò l’accordo di rete sull’accoglienza e integrazione degli alunni stranieri con l’obiettivo di evitare le classi ghetto ma al rinnovo della legislatura, a distanza di un anno, l’accordo era già lettera morta.

Non si è accettata la sfida per trovare una strada diversa, sebbene lunga e tortuosa, e oggi i numeri della demografia ormai ci hanno travolto. A Carpi ci sono sedici scuole d’infanzia, di cui sei comunali e dieci statali in cui la percentuale dei bambini con cittadinanza non italiana è in media del 30% (era il 23% nel 2014). Le scuole statali si fanno carico dell’accoglienza in misura quasi tripla rispetto alle comunali: nelle prime i bambini stranieri sono il 39,5%, nelle comunali il 15,2%. Sono tre le scuole d’infanzia statali in cui i bambini stranieri superano nettamente il numero di bambini italiani.

Quali criteri vengono applicati se tra scuole comunali e statali si evidenziano queste differenze? Nella graduatoria che regola l’accesso alle scuole d’infanzia le famiglie italiane ottengono un punteggio più alto rispetto alle famiglie straniere in cui la madre spesso non lavora e così scelgono le scuole comunali concentrandosi in quelle. Poi c’è il tema della diversa organizzazione delle statali dove la compresenza è garantita per un numero minore di ore in base alle disposizioni ministeriali. Tutte cose che si sanno benissimo da sempre e a cui si sarebbe potuto mettere mano se ci fosse stata la volontà.

Nella fase della composizione delle sezioni finora si è privilegiato il diritto del singolo piuttosto che l’equilibrio della sezione. E’ necessario rivedere i criteri a partire da quello dello stradario: è veramente così efficace se ai bambini stranieri residenti nella zona della scuola d’infanzia è negata l’iscrizione a favore di famiglie italiane che ottengono un punteggio più alto pur abitando in una diversa zona di Carpi? Come è possibile che una famiglia si ritrovi un figlio iscritto in una scuola e l’altro in un’altra, come se il criterio dei fratelli non avesse alcuna importanza? Si può considerare una priorità l’equilibrio tra maschi e femmine? Si può valutare il grado di integrazione e alfabetizzazione considerando che ci sono famiglie straniere in cui tutti i componenti parlano benissimo la lingua italiana? Si può comporre la sezione tenendo conto di quanti bambini provengono dall’asilo nido in cui sono stati abituati a una routine scolastica? Considerando l’apporto che deriva dalla presenza di insegnanti di sostegno e Pea, si può evitare di concentrarli in determinate scuole? Si può costituire una commissione per la composizione delle sezioni estesa ai Comprensivi e ai loro dirigenti? L’alternativa è mantenere lo status quo, fare come si è sempre fatto e continuare a parlare di “integrazione”.

L’invito rivolto agli amministratori, al personale comunale, ai dirigenti scolastici è quello di visitare le scuole dell’infanzia, in particolare quelle statali, del territorio che amministrano per rendersi conto della composizione delle sezioni e dei problemi che ne possono derivare in primis per le insegnanti che vivono frustrazione e senso di inefficacia con conseguenze inevitabili a livello di stanchezza fisica ed emotiva. Tutti i bambini che abitano a Carpi hanno diritto alle stesse possibilità di realizzarsi sviluppando appieno il proprio potenziale.

Sara Gelli