Paolo Virno: Se questo non è un uomo

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La particella ‘non’  è tanto familiare quanto inavvertita nelle nostre quotidiane conversazioni. Questo connettivo logico che ci dà il potere di parlare di ciò che non accade ha però una straordinaria rilevanza antropologica, tanto che portare alla luce il senso profondo della negazione significa “spiegare alcuni tratti della nostra stessa specie”. Ed è lungo i passaggi più importanti di questa complessa indagine che il filosofo del linguaggio Paolo Virno ha condotto il pubblico di Carpi domenica pomeriggio durante la lezione magistrale dal titolo Negazione. Se questo non è un uomo. “Prima dell’insorgenza del linguaggio – ha spiegato il professore di Filosofia del linguaggio presso l’Università di Roma Tre – vi è una socialità di base, come rivelano le recenti ricerche di Vittorio Gallese sui neuroni specchio, per la quale è innato in noi un meccanismo automatico che ci predispone a una naturale empatia col prossimo. I neuroni che nel nostro cervello sono collocati nell’area di Broca – che per inciso è anche coinvolta nell’elaborazione del linguaggio – fanno sì che, quando si assiste a un’azione o alla manifestazione di uno stato d’animo, in chi osserva vengono attivati gli stessi neuroni di chi compie l’azione o esperisce la sensazione”. Ma come interviene la nascita del linguaggio con questa sintonia biologica che rende possibile l’immedesimazione negli stati d’animo altrui e dunque la possibilità di intenderli come nostri simili? Se i filosofi ottimisti potrebbero ritenere che esso prosegua, rafforzandola, l’opera dello spazio ‘noi-centrico’ generato dai neuroni specchio, Virno non è tra questi. “Il linguaggio, e in particolare la negazione, infragilisce, dissesta e distrugge questa empatia originaria. Dall’antropologia ad Auschwitz, purtroppo gli elementi a sostegno della mia tesi non mancano. Cosa sta facendo, infatti, l’ufficiale nazista che, dinanzi a un vecchio ebreo in lacrime, nega che quello sia un uomo, se non negare un dato di fatto palese davanti ai suoi occhi, disconoscendo ciò che i neuroni specchio dovrebbero suggerirgli in maniera inconscia?”. Questo è possibile perché la caratteristica del linguaggio è quella di poter negare qualsiasi fatto ed evidenza, avendo un alto grado di indipendenza dalla realtà e dalle pulsioni psichiche. In un percorso che parte dal Sofista di Platone, passando per Hegel e Wittgenstein sino ad arrivare alle più recenti scoperte dei neuroscienziati, Virno indica il linguaggio nella sua duplice veste di lacerazione e sutura. “Una volta che il linguaggio si è reso capace di negare qualsiasi cosa, non soltanto le passioni tristi come l’odio, la rabbia, l’aggressività, ma anche l’amicizia e la solidarietà, esso rende possibile una sfera pubblica in cui il linguaggio può porre rimedio ai danni che esso stesso ha provocato. La sfera pubblica è, in questo senso, una doppia negazione – e dunque un’affermazione – che consente di cicatrizzare la lacerazione originaria che il linguaggio ha introdotto nel vivere umano”. Come a dire, se il linguaggio ci condanna a una barbarie ben diversa, e più terribile, di quella dei gruppi di ominidi privi di linguaggio, è anche l’unico strumento in grado di assolverci.
Marcello Marchesini

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