Dal rubinetto alla natura: ecco come restituiamo l’acqua

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Ci preoccupiamo della qualità dell’acqua che viene prelevata dai pozzi e che arriva nelle case attraverso l’acquedotto, non altrettanto di quella che restituiamo alla natura: eppure tutta l’acqua che finisce nel sistema fognario viene immessa nuovamente nei corsi d’acqua superficiali. A quali condizioni e a che prezzo per l’ambiente? A rispondere è Floriano Scacchetti, responsabile Area Servizio Idrico Integrato di Aimag.
Il lungo viaggio dell’acqua che esce dal rubinetto
Partiamo dunque dai rubinetti da cui esce l’acqua per uso domestico, ma anche quella per uso industriale visto che rappresenta la quota inquinante più rilevante. “L’acqua pulita, prelevata in natura attraverso la captazione dai pozzi, una volta sporcata – spiega Scacchetti – viene convogliata verso il depuratore attraverso i sistemi di collettamento cioè le reti fognarie che possono essere di due tipologie: le fognature miste e quelle separate (bianche e nere). Nella maggior parte del territorio nazionale è diffuso il tipo misto: quando negli Anni ’70 ci si è trovati in condizione di dover diffondere tecniche di depurazione delle acque, si sono utilizzati collettori unici per convogliare sia le acque bianche (come quelle meteoriche) che quelle nere (di scarico)”.  E più si urbanizza più c’è da gestire la quantità di acque sporcate anche da tutto ciò che c’è sulle strade: dalle polveri sottili ai residui di idrocarburi.
“Con il tempo però (almeno dagli Anni ’90) si è provveduto a dare indicazione di separare le fognature, quelle per le acque bianche da quelle per le acque nere negli insediamenti di nuova realizzazione”. Per fare un esempio, Aimag gestisce 1.300 chilometri circa di fognatura: il 53% circa è costituito da fognature miste, il 29% è costituito da fognature nere, la restante parte è costituita da fognature bianche.
Dove finisce l’acqua della pioggia che lava le strade
L’acqua che lava le strade dalle polveri sottili per esempio finisce al depuratore se captata dal sistema fognario misto, mentre se è presente un sistema separato, come nelle nuove lottizzazioni, le acque bianche hanno come destinazione la rete di scolo superficiale, cioè i canali e i fiumi che avranno come recapito finale il mare. “Si tratta di acque che necessitano di un minimo di trattamento al fine di raccogliere – spiega Scacchetti – i sedimenti (materiali sabbiosi più pesanti ma anche le particelle oleose) e per questo motivo viene chiesto, nelle aree destinate a parcheggi, un trattamento prima dell’immissione in acque superficiali. Non si tratta di un trattamento biologico come quello che subiscono le acque nere: in questo caso si procede con un trattamento fisico in grado di trattenere materiali presenti in tracce come sabbie, olii, idrocarburi e altre sostanze raccolte dalle superfici impermeabili urbanizzate”.
Quando l’acqua è troppa…
“Nelle lottizzazioni più recenti è rispettato anche l’obbligo di legge imposto dai Consorzi di Bonifica che gestiscono la rete di acque superficiali al fine di garantire l’invarianza idraulica”.
Cosa vuol dire? “Ci sono vasche di accumulo che funzionano come polmoni idraulici e, quando l’acqua a causa di una pioggia intensa è troppa, evitano che venga immessa in un sol colpo nei corsi d’acqua, i quali hanno una loro capacità di deflusso che potrebbe essere incompatibile in quel momento con tutta l’acqua che gli arriva da eventi meteo violenti, come quelli che abbiamo imparato a conoscere”.
…e le acque nere eccedenti finiscono nei canali
“Gli impianti di depurazione terminali non vengono progettati per trattare tutte le acque (quelle nere e quelle meteoriche del sistema misto) che cadono nel bacino di pertinenza perché dovrebbero essere costruiti con dimensioni improponibili.
Per questo la norma consente di scaricare in acque superficiali, attraverso gli scolmatori, acque che rispettano criteri idraulici particolari e specifici. Questi manufatti, gli scolmatori (350 nel territorio di Aimag), hanno lo scopo di far uscire in acque superficiali le acque delle fogne eccedenti la quantità che è previsto arrivi al depuratore con una diluizione determinata dalle acque meteoriche”. In pratica, quando piove in modo particolarmente abbondante le acque meteoriche nel sistema misto diluiscono a tal punto le acque nere da generare condizioni di qualità compatibili con i corsi d’acqua superficiali che ricevono queste acque scolmate. Grazie alla diluizione si raggiungono livelli tali da evitare problematiche di carattere ambientale.
“Quando gli scolmatori ricevono queste ondate di pioggia, una volta raggiunto il livello di diluizione stabilito dalla norma, riversano l’acqua nei canali. Ricordiamo – aggiunge Scacchetti – che i fossi hanno una propria capacità di autodepurarsi”.
La capacità autodepurativa dei corsi d’acqua
“I canali hanno capacità autodepurative e i depuratori con cui lavoriamo per depurare le acque nere sostanzialmente sfruttano gli stessi principi biologici presenti in natura: solo che il depuratore è un reattore in cui si concentrano, si velocizzano e si rendono più efficaci i processi di abbattimento della carica inquinante. Ma le cariche batteriche che utilizziamo sono le stesse presenti in natura tant’è che una volta, prima ancora che esistessero i depuratori centralizzati, si affidava ai corsi d’acqua la depurazione.  Poi c’è stata l’urbanizzazione, l’antropizzazione del territorio e l’industrializzazione che hanno indotto a concentrare i processi di rimozione degli inquinanti prima di restituire la risorsa nell’ambiente”.
C’era una volta… ma adesso usiamo i detersivi!
Scacchetti spezza una lancia a favore dei produttori di detersivi “a cui sono state imposte norme per migliorare le loro formule producendo detersivi più facilmente biodegradabili. La componente dei detersivi in un depuratore è comunque marginale”.
Perché preleviamo l’acqua dai pozzi con caratteristiche di potabilità e non la restituiamo con la stessa qualità?
“Perché dovremmo avere degli impianti non compatibili dal punto di vista dimensionale e dal punto di vista economico. Si tratta di scelte di trattamento spinto dell’acqua e si fanno in luoghi dove potrebbero non esserci altre fonti di approvvigionamento. La normativa si interroga continuamente su come migliorare la qualità delle acque superficiali e noi gestori ci rapportiamo alle norme e ai regolamenti”.
Il depuratore è vivo, non avveleniamolo
“Il depuratore che si trova a San Marino di Carpi – precisa Scacchetti – tratta 33mila metri cubi al giorno di acqua mista e lo scolmo si attiva dopo che quella portata è stata superata più volte.
I depuratori sono impianti vivi perché dentro alle vasche c’è la microflora responsabile della depurazione, composta da batteri che, come noi, respirano, si alimentano, (depurando) e si riproducono per mantenere una quantità di popolazione sufficiente a garantire la continuità del trattamento delle acque afferenti all’impianto. Non devono giungere al depuratore sostanze inquinanti in quantità massiva, come olii, gasoli e sostanze organiche complesse perché possono avvelenare la biomassa”.
Che cosa possiamo fare come cittadini?
“Provvedere a una buona manutenzione dei dispositivi di casa, tra cui la fossa biologica, e non scaricare sostanze inquinanti in fognatura. Gli olii esausti di cucina, quelli dei motori delle auto, le vernici o le pitture possono essere conferiti presso le stazioni ecologiche. Le industrie devono rispettare i limiti autorizzati di scarico in fognatura e non scaricare rifiuti liquidi. Cerchiamo di collaborare con l’autorità competente per individuare la fonte: è un reato scaricare sostanze inquinanti nelle fognature. Soprattutto alcune sostanze che possono essere utilizzate all’interno dei processi produttivi di alcune industrie. Il detersivo in sé non è particolarmente velenoso, lo è ben di più, per esempio, la massiccia presenza di metalli pesanti”.
Sara Gelli

 

 

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